Niscemi, mafia e politica: la difesa dell’ex sindaco Dai rapporti con Attardi al presunto scambio di voti

Francesco La Rosa, ex sindaco di Niscemi, da dieci giorni non è più agli arresti domiciliari. Su di lui pesa l’accusa di scambio elettorale politico-mafioso nelle elezioni del 2012, quelle in cui, con un’importante rimonta, è stato eletto primo cittadino al ballottaggio. Secondo la Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, dietro quell’exploit ci sarebbe stato l’impegno di Cosa Nostra, in particolare di quelli che sono considerati i massimi referenti sul territorio di Niscemi, Giancarlo Giugno, e di Gela, Alessandro Barberi. All’ex primo cittadino viene contestata anche la compravendita di voti (cento euro per preferenza, ma non c’è nessun riferimento a richieste fatte direttamente da La Rosa) e di candidati consiglieri (diecimila euro per avere in lista la sorella di Salvatore Ficarra, cognato del boss Giugno). Lo scorso 5 luglio i legali di La Rosa, Giuseppe e Andrea D’Alessandro, hanno presentato una memoria difensiva in cui cercano di smontare le accuse della Procura. È anche sulla base di questo documento che il Tribunale del Riesame di Caltanissetta ha deciso la revoca della misura cautelare per l’ex sindaco, le cui motivazioni saranno depositate entro 45 giorni. 

«L’ordinanza di custodia cautelare – si legge nella richiesta dei due legali – si fonda su una serie di elementi di natura logico-indiziaria, non sussistendo un solo episodio che possa collegare la figura dell’ex sindaco con elementi della criminalità organizzata. Fra le migliaia di telefonate intercettate non ve ne è una sola nella quale l’indagato conversi con soggetti malavitosi. Ma v’è di più: non vi è una sola conversazione fra soggetti terzi dalla quale si evinca direttamente o indirettamente un coinvolgimento in eventuali scambi mafia-politica». 

La difesa analizza quindi le varie accuse, a cominciare dai rapporti tra La Rosa e il suo assessore Calogero, detto Carlo, Attardi, pure lui arrestato con l’accusa di voto di scambio con Cosa Nostra e considerato dagli inquirenti la chiave della mafia niscemese per influenzare l’amministrazione comunale negli ultimi cinque anni. Alle elezioni del 2012 Attardi è il consigliere eletto con più voti e tre anni dopo viene nominato assessore ai Lavori pubblici. Una scelta, secondo gli inquirenti, dettata dalle promesse fatte ai mafiosi in campagna elettorale. «L’infiltrazione nella giunta di persone gradite a Cosa Nostra – scrive il giudice nell’ordinanza di arresto – necessariamente costituisce importante indizio di una contiguità mafiosa dello stesso capo dell’amministrazione comunale». E poco più avanti viene sottolineato che «è provata la partecipazione del candidato sindaco La Rosa alla formazione del patto elettorale-mafioso, la cui concreta formazione è stata svolta dal candidato Attardi».

Per la Procura, dunque, La Rosa conosceva le capacità di Attardi di avere contatti con la mafia, visti i suoi collegamenti con i componenti della famiglia Giugno. Ma è proprio dalle conoscenze di Attardi che la difesa di Giugno inizia le sue memorie. «Io solo con suo figlio», risponde l’ex consigliere a chi gli chiede se avesse mai conosciuto Giugno. Il rapporto tra Attardi e il figlio del boss sarebbe nato tra i banchi dell’università Kore di Enna, che entrambi hanno frequentato. «La Rosa – scrivono i suoi legali – non poteva conoscere i collegamenti tra Attardi e Giugno per la semplice ragione che neanche Attardi conosceva Giancarlo Giugno». Mentre il passaggio da consigliere ad assessore, secondo i legali di La Rosa, arriva troppo tardi – tre e anni e mezzo dopo l’inizio della sindacatura e solo per sostituire un altro assessore dimissionario – per poter rappresentare la contropartita di «un disegno criminoso». 

C’è poi un’intercettazione a cui la difesa e la Procura danno interpretazioni diametralmente opposte. È quella captata nel carcere in cui è rinchiuso Alberto Musto, considerato il referente di Cosa Nostra a Niscemi dopo l’arresto di Giugno. Parlando con alcuni familiari della denuncia presentata dagli imprenditori Lionti, vittime di una richiesta di estorsione, e del sostegno trovato nel sindaco La Rosa, il padre di Musto afferma: «La cosa più grave, che sarebbe cosa di prendere e ribaltare i tavoli, è che quel bastardo si è rivolto al sindaco il quale, a sua volta, sta dando conto a un bastardo». «O fa l’infame o fa quello giusto», aggiunge il fratello di Musto. E lo stesso Alberto Musto conclude: «Come me ne sono fatti due, me ne faccio altri cinque», «riferendosi – sottolinea il giudice – chiaramente alla sua disponibilità a vendicarsi nei confronti del sindaco per il fatto di aver appoggiato la denuncia degli imprenditori con una richiesta di risarcimento costituendosi parte civile». Secondo l’accusa questa conversazione dimostrerebbe il malcontento dei mafiosi rispetto agli accordi non mantenuti da La Rosa. Di tutt’altro avviso, invece, la difesa, per cui queste frasi rappresentano «i rapporti, tutt’altro che benevoli, tra La Rosa e i mafiosi».

Grande spazio viene dedicato agli episodi che proverebbero la compravendita di voti. In particolare alla presunta promessa da parte dell’ex sindaco di pagare diecimila euro per avere in lista Anna Maria Ficarra, sorella di Salvatore Ficarra, considerato uomo di fiducia di Barberi e postino per conto del boss nei confronti degli amministratori locali. «Ciccio La Rosa a mia mi dissi…”si ti vo candidare…”», dice la donna al fratello che, poco dopo, spiega: «Io già ci parlaiu, ci dissi che… decimila euru, i ci dissi (Già gli ho parlato, gli ho detto, diecimila euro, gli ho detto)». E ancora: «Se voi u nomu… ci voli decimila euro… ci dissi…(Se vuoi il nome ci vogliono diecimila euro)». Frasi che, secondo la Procura, testimoniano l’impegno economico di La Rosa. La difesa, invece, cita un’altra intercettazione, di alcuni giorni dopo, in cui Salvatore Ficarra sembra fare marcia indietro: «Fu na cosa chi cci rissi accuddì, pirchì mi fici ‘ncazzari, chi tutti stavunu facennu u iocu re tri carti, l’ha caputu? (È stata una cosa che gli ho detto così, perché mi ha fatto incazzare, tutti stavano facendo il gioco delle tre carte, capito?»). 

Anna Maria Ficarra effettivamente si candiderà nelle liste di La Rosa, ottenendo 36 voti. «La Rosa (politico navigato e conoscitore del peso elettorale dei candidati) – attaccano i legali dell’ex sindaco – o chi per lui avrebbe sborsato diecimila euro per mettere in lista una persona assolutamente sconosciuta e senza speranza alcuna di portare voti. La cosa più ridicola è che la candidata, nella sezione dove votano tutti i suoi parenti, compreso chi avrebbe fatto da intermediario, ha ottenuto solo due voti». Secondo la difesa dunque Ficarra sarebbe stata messa in lista solo «per fare numero femminile», visto che la legge elettorale imponeva la parità di genere. 

L’ultima parte delle memorie difensive passa in rassegna le presunte promesse di posti di lavoro in cambio di voti. La Rosa avrebbe usato le aziende di Giuseppe Attardi, padre del suo candidato consigliere, per garantire assunzioni (la Procura ha accertato che 67 niscemesi sono stati assunti dopo le elezioni, tra cui lo stesso Salvatore Ficarra). In particolare c’è un’intercettazione in cui un uomo, nel giugno del 2016, chiama il sindaco La Rosa, «per ricordargli – si legge nell’ordinanza di arresto – gli accordi e le promesse fatte durante la sua candidatura a sindaco (ovvero la promessa di essere assunto presso la ditta di Attardi) e lo informava di aver saputo che stavano partendo molti ragazzi in Francia, assunti da quella ditta che però lui non conosce personalmente». E gli chiede di attivarsi per essere assunto, mantenendo quindi fede alle promesse elettorali. Secondo la difesa, però, quell’uomo evoca le elezioni perché è stato candidato nelle liste di La Rosa e quindi inevitabilmente si è speso per lui. 

Ci sono infine gli appalti concessi negli anni dell’amministrazione La Rosa, su cui la Procura ha annunciato di voler continuare a indagare. Nell’ordinanza si fa, intanto, riferimento a due presunte gare di cui parla, subito dopo il voto, uno degli arrestati che si sarebbe speso per l’elezione di La Rosa. Gare che sarebbero dovute essere bandite successivamente ma di cui la Procura non ha trovato riscontro. Ecco perché la difesa taccia di «millantatore e burlone» la persona intercettata, cioè Francesco Spatola, uomo di fiducia e cognato di Giancarlo Giugno.


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