Ragusa, crescita a doppia cifra per il turismo Occhipinti: «Servono più alberghi e più civiltà»

È l’angolo di Sicilia dove il turismo cresce di più. Ragusa Ibla, Modica, Scicli, le spiagge da Scoglitti a Santa Croce Camerina, Pozzallo. Tutto concentrato nel raggio di poche decine di chilometri. Il resto d’Europea sembra essersene accorto, anche grazie a Montalbano, e comincia a scegliere il Sud-Est, agevolato dall’operatività dell’aeroporto di Comiso. Eppure molto resta da fare per sfruttare al meglio le risorse del territorio e ottenere ancora di più dal punto di vista economico. Giovanni Occhipinti – presidente del distretto turistico degli Iblei, vicepresidente di Federalberghi e nel recente passato tra i candidati a guidare la Soaco, la società che gestisce lo scalo ragusano – ha le idee chiare: parla di «nuove strutture ricettive sul litorale», anche a costo di attirarsi le critiche di chi vede in questa operazione un attacco all’ambiente, e di apertura al mercato statunitense. E lancia un appello ai suoi conterranei: «Dobbiamo diventare civili». 

Partiamo da qui, la cura del territorio da parte di chi lo abita. È questo quello che manca ancora al Ragusano per entrare nell’elite delle mete turistiche?
«Spesso l’immagine che diamo ai nostri clienti è un problema e denota come, culturalmente, non siamo pronti. Abbiamo le strade piene di spazzatura e discariche di ogni tipo. Offriamo location fantastiche, luoghi storici meravigliosi, ma il territorio non ha capito che il turismo è una risorsa e si danneggia da solo. Dobbiamo diventare cittadini civili, in grado di trattare il territorio come se fosse il salotto di casa nel quale accogliamo gli ospiti».

A parte una mentalità diversa, cos’altro servirebbe?
«Sicuramente mancano strutture ricettive e l’organizzazione del territorio. Le strutture lavorano bene internamente, ma all’esterno ognuno opera per i fatti propri. Ci vorrebbe una specie di circuito unico, ed è quello che, come distretto, stiamo provando a fare. Stiamo lavorando alla realizzazione di un’app, che sarà scaricabile tra un anno circa e che permetterà di connettersi ad un unico contenitore digitale all’interno del quale tutto il territorio ibleo sarà collegato e capace di proporre un’unica offerta integrata. Ogni cliente potrà, così, sapere tutto su taxi, collegamenti, eventi, musei, itinerari, escursioni, alberghi e ristoranti del pacchetto Ragusa». 

Quando parla di mancanza di strutture ricettive, fa riferimento alla necessità di tornare a costruire? 
«Negli ultimi cinque anni è stato registrato un incremento del 101 per cento di strutture extra alberghiere. B&b, case vacanze e turismo rurale sono più che raddoppiati, a fronte di un timido +11 per cento di alberghi. Ma i dati più recenti dicono che su 850mila visitatori, 650mila vanno ancora negli alberghi. Da questi numeri sembra chiaro come il resto sia importante ma complementare e che l’industria del turismo si basa sugli hotel. Da qui il primo grave limite, sfociato oramai in emergenza: la mancanza di strutture ricettive. Lo vediamo coi charter in arrivo da Birmingham, Polonia e Francia. Ne stanno traendo giovamento sia le strutture ragusane che quelle limitrofe, da Licata a Siracusa, che ci aiutano a colmare la mancanza di posti letto atavica. I tour operator vogliono investire da noi, ma non trovano lotti disponibili».

Ha trovato amministrazioni d’accordo con la sua tesi? 
«Ho trovato riscontro immediato nel sindaco di Vittoria che vuole proporre una formula mista turismo/agricoltura per il meraviglioso litorale sabbioso che va da Scoglitti verso Gela, al fine di far nascere nuove strutture e dare la possibilità agli imprenditori agricoli che lo vorranno di trasformare i loro lotti da agricoli a turistico-alberghieri. Stessa cosa il sindaco di Pachino, forse si comincia a respirare quest’aria e a capire questa esigenza».

I ragusani, però, sono anche preoccupati di custodire la propria terra. Come si concilia costruire sui litorali con la salvaguardia dell’ambiente?
«Costruire alberghi non significa distruggere il territorio. Guardiamo, ad esempio, al rispetto che hanno avuto nel trasformare la Costa Smeralda. Diamo agli imprenditori la possibilità di costruire, ma tutelando al massimo il territorio e i vincoli imposti dalla Soprintendenza. Quello che da tempo chiediamo è che ci dicano come costruire, e noi studieremo la soluzione più giusta per edificare, nel rispetto del barocco e della nostra terra».

Che trend si registra per quest’estate, in termini numerici?
«Abbiamo già un incremento che va dal 12 al 18 per cento in più rispetto all’estate del 2016, che a sua volta era in positivo rispetto al 2015. Sono numeri importanti, di anno in anno l’aumento è a due cifre, in controtendenza rispetto a qualsiasi altro settore economico. Chi viene da noi ha la grande fortuna di trovare tutto quello che vuole nel raggio di pochi chilometri, non solo mare ma anche storia, cultura, montagna, enogastronomia, architettura e siti Unesco, in primis a Ragusa Ibla, Modica e Scicli. Dobbiamo lavorare perché, alla fine della vacanza e delle escursioni, il giudizio sia totalmente favorevole, anche in termini di servizi, perché si vive pure di passaparola e si consiglia sempre un luogo nel quale ci si è trovati bene».

In questo ragionamento sembra tagliato fuori il turismo dei più giovani. 
«Ci sono tanti tipi di turismo, noi abbiamo scelto quello individuale e per famiglie. Non siamo una destinazione per la movida e non mi pare ci sia alcuna intenzione di diventarlo. Per trasformarci in una Saint Julian o nel Salento ci vogliono località ben precise che decidono di specializzarsi per andare incontro alle esigenze dei ragazzi, i quali vogliono strutture economiche e vicine ai luoghi del divertimento. Non è impossibile, tutto si può fare, ma è una forma di turismo che va studiata e, al momento, le amministrazioni non sono interessate. Basti pensare a quello che è successo nel centro di Marina di Ragusa con i locali che vanno a cozzare con le esigenze dei residenti. Cosa che, diversi anni fa, non è successa quando due discoteche sono diventate famose e attrattive in tutta la Sicilia. La ragione era semplice: non erano in centro e non disturbavano nessuno. Non è un caso che quelli siano stati gli anni del boom, anche edilizio, per Marina. Migliaia di ragazzi arrivavano, alloggiavano, mangiavano nei locali della zona e facevano girare l’economia, ma all’epoca c’è stata una progettualità alla base (anche tramite prg) che oggi non c’è».

Soaco e aeroporto: perché ha detto subito di no a un’eventuale presidenza? E cosa dovrebbe cambiare nella gestione dello scalo?
«Sono molto concentrato sulla presidenza del distretto e questo non è il momento di distrarsi. Alla Soaco stanno operando persone valide, con una esperienza importante alle spalle e che amano quello che fanno. L’aeroporto è molto limitato nelle tratte, ma io vedo Comiso con una prospettiva di sviluppo notevole per quanto riguarda la parte dei charter. Le potenzialità sono immense, ma vanno sfruttate in collaborazione con Catania. È importante, inoltre, conoscere tutti i mercati del nord Europa e quelli d’Oltreoceano, perché non dimentichiamo che Comiso ha una pista che può accogliere i Boeing. La destinazione Comiso deve diventare destinazione Sicilia, chi viene dagli Stati Uniti non pensa “atterro a Comiso o a Trapani”, pensa solo “atterro in Sicilia e poi mi sposto”. Entrare in questa filosofia è importante, ma c’è bisogno di tanta forza e di tanti sacrifici da parte di cda e soci».


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