Vittoria, Aiello e Moscato rispondono alle accuse La rabbia dei candidati esplode ai comizi serali

Sono stati travolti dal clamore di
un’indagine arrivata poche ore prima della chiusura della campagna elettorale. Giovanni Moscato e Francesco Aiello, i due contendenti al ballottaggio che deciderà il futuro sindaco di Vittoria, sono iscritti nel registro degli indagati perché, secondo la Procura di Catania, avrebbero accettato voti dalla mafia in cambio di denaro o favori. Il programma della campagna elettorale è stato così stravolto nei temi e negli appuntamenti. Sono stati organizzati dei
comizi, nella serata di ieri, nelle periferie della città. Entrambi i candidati hanno potuto esprimere al microfono rabbia verso l’accusa che è stata loro rivolta. E hanno professato totale estraneità e innocenza.

Così, in quello che ha definito «un comizio improvvisato»,
Ciccio Aiello ha rafforzato la propria narrazione di una città «assediata dai poteri forti, che stanno intervenendo nella campagna elettorale». Aiello osserva «lo strano tempismo di questa inchiesta, che riguarda principalmente i Nicosia (il sindaco uscente e il fratello, ndr). Perché non la facevano prima del primo turno o, magari, lunedì o martedì dopo il voto? – chiede retoricamente ai suoi sostenitori -. Sgomenta il modo perentorio con cui è giunta, ma non dobbiamo mai perdere ragionevolezza e continuiamo ad avere fiducia nella magistratura».

Incassa e reagisce, il politico di lungo corso e più volte ex sindaco: «Mi colpisce fino a un certo punto ricevere un avviso di garanzia, ne ho viste tante nella mia carriera;
ciò che invece mi colpisce è essere allineato, nella stessa indagine, a certi individui che, negli ultimi dieci anni, ho denunciato più volte in tutte le sedi». Poi rincara la dose: «Da anni richiamo l’attenzione sulla filiera agroalimentare. Perché non vanno lì a controllare le illegalità? E invece lo Stato se n’è fottuto dei diritti della gente».

Per quanto concerne la campagna elettorale ancora in corso, Aiello è coinvolto nell’indagine – attraverso le dichiarazioni del
collaboratore di giustizia Rosario Avila – anche per i passati legami politici con Cesare Campailla, poi candidatosi con il rivale Moscato. «Mi si accusa di essere tramite di Campailla? Lui è stato con me fino a un certo episodio, occorso a Gela l’anno scorso. Lì ho capito e l’ho allontanato», commenta Aiello. Secondo le indagini il legame con Campailla è certificato da un post datato maggio 2015 e pubblicato su Facebook da Titta Ventura (secondo la Direzione nazionale antimafia il reggente del clan Dominante a Vittoria), in cui quest’ultimo sosterrebbe entrambi (Aiello e Campailla). «Io non riesco a concepire un mafioso che dice in un post “io ti voto”. Lo riuscite ad immaginare?», domanda il candidato dal palchetto.

Aiello chiarisce anche un ulteriore punto dell’indagine: sempre secondo il pentito Avila,
avrebbe ricevuto nel 1995 l’appoggio del clan Russo di Niscemi: «Ricordo un comizio in particolare di allora, a Scoglitti, dove Russo era in soggiorno obbligato e pare che avesse violentato una ragazza. Parlai e chiesi allo Stato di smetterla di inviare nel nostro territorio mafiosi. Al ritorno, in auto, Russo ci seguì e ci sorpasso continuamente e giurò di farmela pagare. A quei tempi combattemmo una battaglia antimafia vera, quando potevano farci a pezzi».

Al rivale lancia segnali di distensione: «Quando vogliono, andrò dai magistrati a raccontare tutto. Come di sicuro potrà fare
Moscato, dimostrare rapidamente la sua posizione». Il quale però non è dello stesso avviso: «Entrambi i pentiti dichiarano che chi sostiene la criminalità organizzata a queste elezioni è l’onorevole Aiello. La sensazione è che qualcuno cerca di fare una par condicio tra i candidati e si butta fango», commenta duro Moscato che racconta ai suoi sostenitori gli avvenimenti della giornata: «Avevo le carte davanti e, nonostante sia avvocato, leggevo e non capivo. Così gli altri. Alla fine ci siamo trovati in 12, tutti avvocati, a leggere e non capire».

Si difende tenacemente: «
In 15 pagine di decreto, il mio nome ricorre una volta sola. I pentiti, il mio nome, non l’hanno mai fatto – continua – e non potevano, perché collaborano uno dall’ottobre del 2012, l’altro dal novembre 2015. Io però mi candido a gennaio del 2016». Poi centra il collegamento che lo tira in causa, ovvero il candidato Campailla, lì accanto a lui: «L’unica spiegazione logica è che c’è Cesare nelle mie liste. Ma se la mafia a Vittoria avesse deciso di eleggere un consigliere comunale, questo non avrebbe mai preso solo 240 voti». E ancora, approfondisce l’indagine: «Si fanno i nomi di due imprenditori, ma questi hanno appoggiato un altro candidato al primo turno».

La conclusione è affidata ad un lungo e rabbioso sfogo: «Quello che è successo a me oggi, potrebbe succedere a tutti. Noi domani saremo infangati in tutto il Paese. Chi glielo spiega a mio figlio, ai giovani, quello che è successo?
Chi mi ridarà la dignità?». Amareggiato, Moscato denuncia: «Se il vostro obbiettivo era annullare le elezioni a 48 ore dal cambiamento, perché sino a cinque minuti fa queste elezioni le avevamo vinte, ditemelo in faccia, ma io cambierò lo stesso questa città».


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