Sindaci, tra sacrifici e le ambizioni dei big  Ruolo a rischio insieme ai conti in dissesto

Tempi duri per i sindaci di Sicilia che annaspano senza soldi, tra emergenza rifiuti, carenze di servizi da assicurare ed una pianificazione di investimenti quasi azzerata. Una scatola cinese che degrada, scendendo dal governo centrale a quello regionale, portando in dote sacrifici, minori trasferimenti e prospettive sempre più buie. Un modo per razionalizzare spese e costi, certamente, ma anche una maniera per tagliare le unghie ai sindaci più in vista, pronti ad affilare le armi.

Gli scenari si susseguono con lentezza e questo si fa sentire anche nella carenza di nomination e di gente pronta a farsi sotto. A Catania, nel centro destra, qualcuno, a bassa voce, sussurra il nome di Salvo Pogliese come candidato da contrapporre a Bianco, mentre su Palermo Ncd ha già fatto sapere a Renzi che senza l’accordo relativo a quella postazione, saltano tutte le intese, locali e regionali. Per il resto lunghi silenzi di attesa. 

La novità del panorama siciliano vede Federico Piccitto a Ragusa e Patrizio Cinque a Bagheria, sindaci del M5s, difendersi nei territori, con qualche affanno. Il primo in questi giorni si batte apertamente contro il Piano sanitario che riguarda l’Asp 7 di Ragusa, in aperta contrapposizione con la conferenza dei sindaci. Il secondo, chiamato a confrontarsi con un territorio da sempre a forte rischio di infiltrazione mafiosa, ha deciso di chiedere il ritiro dell’affidamento temporaneo all’Amap del servizio idrico, gestendo il servizio in proprio, in vista di un successivo affidamento, che per alcuni lo potrebbe esporre ad un rischio di danno erariale. 

A Trapani, 13 consiglieri comunali hanno depositato la mozione di sfiducia nei confronti del sindaco Vito DamianoDifficoltà anche per Renato Accorinti a Messina, mentre tra gli emergenti, profeti in patria, si fanno notare Giovanni Ruvolo a Caltanissetta , Giuseppe Ferrarello a Gangi, paese inserito tra i borghi più belli d’Italia, e Domenico Venuti a Salemi, che completano la hit dei sindaci di provincia, utili serbatoi elettorali ed antidoto per i partiti strutturati contro la politica anti sistema. Negli anni novanta i sindaci furono la risposta alla transizione lunga e difficile dei partiti old style. Progressivamente la novità dell’elezione diretta dei primi cittadini si è andata stemperando in un articolato groviglio di contrasti. Primo tra tutti quello che ha generato l’emergere di una serie di figure atipiche, alla Leoluca Orlando per intenderci, poco gradite alle strutture centrali di potere, Regione e governo nazionale. I rubinetti dei soldi e dei trasferimenti si sono chiusi ancora di più. Tra l’integrazione organica dei sindaci big nei partiti e la loro sistematica contrapposizione, c’è un mondo, rappresentato dall’interesse dei cittadini. Che oggi rischia di andare in frantumi. Ad essere in declino non l’uomo, il personaggio, il politico e neanche il fascino che la fascia tricolore esercita ancora nei centri di piccola e media dimensione. Ad andare in crisi sono il ruolo e la funzione che rischiano insieme di sprofondare insieme ai conti in dissesto

Un destino comune che l’Anci ha cercato di chiarire più volte, provando a spostare la discussione ben oltre il perimetro insidioso e sconveniente delle strumentalizzazioni e delle ambizioni a corrente alternata di Enzo Bianco e Leoluca Orlando. La metamorfosi ed il periodico rinnovamento a cui si sottopongono i personaggi della politica del resto non accenna a fermarsi. Oggi fare il sindaco è un investimento non semplice, rischioso e di lungo periodo. Il testo approvato a luglio all’Ars ridimensiona sia il numero dei consiglieri comunali, ridotto del 20 per cento, sia le indennità di sindaci ed amministratori, consiglieri compresi, che nei Comuni con meno di 10mila abitanti non potranno superare la metà dell’indennità del sindaco. La spesa pubblica dei Comuni non arriva in doppia cifra, oscillando tra il sette e l’otto per cento, mentre oggi gli stessi possono indebitarsi solo per effettuare investimenti, non riuscendo ad intervenire sulla modifica dei tetti tra capacità di indebitamento e spesa per investimenti, fissata nel 2,5 per cento. 

In Sicilia i Comuni in dissesto sono una cinquantina ed il pre-dissesto è alle porte per molti altri. Per molti sindaci addirittura il fallimento dell’ente è la carta da giocare per giustificare il deserto della propria attività amministrativa. Un’autoassoluzione che non convince peraltro quasi mai l’elettore. La nuova legge sulla contabilità pubblica infine, cancella la possibilità di giocare sui residui attivi. Insomma per fare il sindaco oggi occorre metterci la faccia, molto più di ieri, provando ad incrociare le congiunture più favorevoli. Un azzardo troppo grosso, un rischio che sempre meno gente vorrà correre.


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