Calcio femminile in Sicilia, storia di sport e diritti «Al Sud ancora tanti genitori ostacolano le figlie»

«Ballerine e calciatrici, due immagini che sembrano distanti ma raccontano la stessa femminilità». È la riflessione che ha ispirato il libro dell’ingegnere e giornalista palermitano Giovanni Di Salvo, dal titolo Quando le ballerine danzavano col pallone. Edito da Geo Edizioni, racconta e ripercorre il calcio femminile, e in particolare quello siciliano, non solo dal punto di vista sportivo e statistico ma anche attribuendo a questo sport notevole importanza nella lotta per l’uguaglianza dei diritti.

Portiere del Palermo in Palermo-RomaIl titolo ha anche un significato storico. Correva l’anno 1947 e alla Favorita di Palermo «le ballerine dell’Opera di Roma – racconta a MeridioNews l’autore, che da oltre 15 anni segue il calcio femminile siciliano – batterono 3-2 un una squadra di giornalisti palermitani». A quei tempi era usanza, per le compagnie di ballo in tournée, sfidare delle rappresentative locali. Quindi «le ragazze erano parecchio allenate ma i colleghi non lo sapevano». Furono proprio questi eventi a «ridare slancio al calcio femminile» dopo che nel 1933 il Coni «proibì i campi da gioco alle donne». Decisione basata sugli studi di un cosiddetto luminare dell’epoca che riteneva il pallone «pericoloso per il loro aspetto estetico e riproduttivo». 

Il fascismo propagandava l’immagine della donna come madre e casalinga. E pure in Sicilia le ragazze «erano costrette a giocare di nascosto da fidanzati e genitori – ricorda Di Salvo nelle 250 pagine del suo libro – per timore di essere bollate come cattivo esempio morale». Solo nel 1968 partiranno i primi campionati di calcio femminile: «fu una rivoluzione culturale» che avvenne «senza l’approvazione del Coni e solo dopo un ennesimo parere medico, stavolta favorevole». Ogni regione poteva organizzare il suo torneo e la Sicilia fu capofila del movimento. «L’avvocato Andrea Patorno mise su un campionato con tanto di coppa Italia e rappresentativa nazionale».

Bisognerà attendere fino al 1986 perché il calcio femminile sia unificato e inglobato nella Figc (la Federazione italiana gioco calcio) ma «tutt’ora non è trattato alla pari di quello maschile». Basti l’esempio che «giocatrici partecipanti alla serie A o alla Champions League per la federazione – continua l’autore – sono equiparate ai calciatori dilettanti». A differenza che nella pallavolo, nella pallanuoto e altri sport «anche molto duri, l’italiano medio non accetta che una donna giochi bene a calcio pur non giocando alla stessa maniera degli uomini». E il movimento siciliano «soffre anche i costi delle lunghe trasferte da sostenere nei campionati nazionali».

Numerosi gli aneddoti curiosi presenti nel libro, che legano la storia e la crescita del calcio femminile alla Sicilia. In epoca fascista «una ragazza palermitana scrisse al quotidiano Il Littoriale una poesia in rima, nella quale esprimeva il desiderio che a Palermo ci fosse una squadra di calcio femminile». Allo stadio La Favorita, nel 1949 «si disputò la prima partita tra due formazioni interamente composte da donne». Torino–Alessandria, terminata 1-1. Una calciatrice della nazionale, nel corso di una trasferta in Messico, «s’innamorò del tecnico della squadra messicana. I due si sposarono a Palermo con l’avvocato Patorno a fare da testimone».

«In confronto a trent’anni fa – dice a MeridioNews Cinzia Valenti, presidente del club di serie B Ludos Palermo – la situazione è notevolmente migliorata». Ma rispetto al Nord, «in Sicilia e al Sud restano più i genitori che ostacolano le figlie ritenendo il calcio uno sport per soli uomini». Una convinzione «che ha bisogno di tempo per essere sradicata», sostiene l’ex giocatrice, compiaciuta perché «dalle lotte interne alle famiglie sempre più ragazze escono vittoriose». In campo «non esistono diversità», e nelle partite amichevoli tra squadre maschili e femminili «si gioca pensando solo al calcio e alla fine ci si stringe la mano». Mentre i pregiudizi fuori dal campo «si superano parlandone meno e guardando di più al modello europeo – sostiene Valenti – fondato su equiparazione di squadre maschili e femminili, investimenti e progetti marketing». 


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