Società aeroportuali, la politica non trova la quadra Acqua pubblica, all’Ars tentativi di riaprire il dibattito

Ieri sera l’Assemblea regionale siciliana ha rinviato per la terza volta l’esame del disegno di legge sulla riforma delle Camere di Commercio. Ufficialmente l’aula non ha potuto esaminare il testo perché gli uffici della Camera di Commercio di Palermo hanno consegnato solo ieri la documentazione per consentire di mettere a punto la relazione tecnica. Così ha detto ieri il presidente della terza commissione legislativa dell’Ars (Attività produttive), Bruno Marziano (Pd). Il dubbio è che le forze politiche non abbiano ancora trovato la quadra su un argomento che resta spinoso, soprattutto per la parte che riguarda il futuro delle partecipazioni azionarie nelle società aeroportuali della Sicilia: la Sac che gestisce gli aeroporti di Catania e Comiso, la Gesap che gestisce l’aeroporto di Palermo e l’Airgest che gestisce l’aeroporto di Trapani. 

Partecipazioni che sono detenute dalle Camere di Commercio e dalle Province regionali. Queste ultime – e cioè le nove Province regionali (che non sono mai state abolite, ma solo commissariate per risparmiare e, forse, con l’intento di privatizzare le azioni detenute dalle stesse Province nelle già citate società aeroportuali) – sono nel caos, come ha ricordato il parlamentare del Nuovo centrodestra, Pietro Alongi. L’Ars, con una riforma lasciata a metà, ha soppresso consigli provinciali e presidenti e ha istituito, sulla carta, le tre aree-città metropolitane di Palermo, Catania e Messina e i Consorzi di Comuni che, in quanto istituiti dall’alto con legge regionale, rappresentano l’esatto contrario di quanto previsto dell’articolo 15 dello Statuto siciliano (debbono essere i Comuni a istituire liberamente i liberi Consorzi e non l’Ars). 

Allo stato attuale le tre aree-città metropolitane e i consorzi di Comuni esistono, come già ricordato, solo sulla carta. Sia perché la legge deve essere completata (mancano le funzioni), sia perché non ci sono soldi, se è vero che il governo Renzi ha svuotato le casse della Regione siciliana. Con la legge lasciata a metà le tre aree-città metropolitane di Palermo, Catania e Messina non potranno utilizzare i fondi europei della Programmazione 2014-2020 (nessuno se n’è accorto, ma un anno è volato via all’insegna del nulla). Tutto questo mentre il governo di Rosario Crocetta, fino ad ora, ha dimostrato di non avere idea di come completare questa riforma. 

Alongi, ieri, ha ricordato lo sfascio in cui versano oggi le Province commissariate. «Bisogna pagare il personale di questi enti – ha detto -. e occuparsi delle società collegate che fanno capo alle stesse Province». Chi pagherà? L’Ars, con l’esercizio provvisorio, ha stanziato milioni di euro. Una cifra irrisoria rispetto ai bisogni di questi nove enti. 

Alla buon’ora – dopo oltre due anni – il parlamentare Vincenzo Vinciullo, anche lui del Nuovo centrodestra, si è ricordato che l’Ars non ha ancora approvato il disegno di legge sulla riforma del servizio idrico integrato. «Oggi, i Comuni sono sempre più giocoforza inadempienti – ha detto Vinciullo – e di conseguenza non riescono, soprattutto nelle province di Palermo e Siracusa, a gestire il servizio idrico pubblico che viene affidato a ditte private, con costi incerti e con spese comunque aggiuntive che avvicinano gli stessi Comuni sempre più alla bancarotta. Credo sia utile, anzi indispensabile – ha concluso il deputato – che il disegno di legge, pronto già da diverso tempo, venga portato in aula. Confido in un percorso privilegiato per accelerare l’iter che lo porti all’esame e al voto di questa Assemblea, così come voluto dai siciliani col voto al referendum del 2011». Ovviamente, Vinciullo ha raccontato la mezza verità. L’altra mezza ve la raccontiamo noi. 

Un disegno di legge d’iniziativa popolare (sponsorizzato da centinaia di sindaci e consigli comunali dell’Isola) sul ritorno alla gestione pubblica dell’acqua è stato depositato nella passata legislatura e riproposto in questa legislatura. Ma siccome questo disegno di legge non piace ai colletti bianchi che oggi comandano in Sicilia, spesso sotto l’egida di un antimafia di facciata, le forze politiche di Sala d’Ercole l’hanno stoppato. E da due anni fingono di esaminare improbabili disegni di legge su altrettanto improbabili ritorni dell’acqua pubblica. Che si tratti di un gioco delle parti lo dimostra il fatto che, da quando si è insediata l’attuale Assemblea regionale, l’acqua pubblica non ha fatto un solo passo in avanti. 

Tant’è vero che Sicilacque non è stata toccata (parliamo della società privata alla quale la Regione ha ceduto gratuitamente per trent’anni le infrastrutture idriche realizzate con i soldi dei siciliani, consentendo a tale società di rivendere ai siciliani l’acqua che è già dei siciliani). E, a parte i fallimenti delle società private di Palermo e Siracusa, i privati operano nelle altre sette province (con la sola eccezione di Agrigento dove i Comuni si sono ribellati contro i privati di Girgenti Acque). 

Sempre ieri, la parlamentare del Pd, Marika Di Marco, ha chiesto al governo regionale notizie sulle bonifiche delle aree industriali (dovrebbero essere circa 50 milioni di euro finiti chissà dove). Un altro parlamentare del Pd, Giuseppe Arancio, ha ricordato che, in questo momento, l’agricoltura della piana di Gela è senz’acqua, perché le tre dighe di questo territorio sono una più sfasciata dell’altra.


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