Mutuo da 2 miliardi, una diffida all’Ars «Illecito oltre che dannoso per i siciliani»

Una diffida nei confronti dei deputati dell’Ars affinché non autorizzino il Governo regionale a contrarre il nuovo mutuo da due miliardi di euro. A firmarla è Progetto Sicilia, il movimento guidato da Giuseppe Pizzino, che di recente si è evoluto in un vero e proprio partito politico. 

Nel documento- indirizzato, oltre che ai parlamentari regionali, al Presidente della Regione, Rosario Crocetta, all’assessore all’Economia, Alessandro Baccei, e,soprattutto, al Procuratore generale della Corte dei Conti, Diana Calaciura- si evidenziano gli aspetti più critici del nuovo indebitamento:

«E illecito poiché agli Enti pubblici è fatto divieto indebitarsi per il pagamento di debiti derivanti da spesa corrente, fuori bilancio.
Inutile – scrive Progetto Sicilia- perché tale mutuo non ripianerebbe i debiti del Servizio Sanitario Regionale ma continuerà a finanziare spesa improduttiva e cattiva gestione amministrativa, come testimoniano gli atti posti in essere finora. Ed è dannoso perché tassare oltre misura cittadini e imprese, determinerà desertificazione produttiva e calo dei consumi contribuendo, al tempo stesso, ad accrescere la disoccupazione e la migrazione giovanile nonché il consolidamento del processo deflattivo». 

Nella diffida, oltre a ricordare che già per questo scopo il Governo aveva contratto un altro mutuo da 600 milioni di euro, si ricorda che a garanzia del rimborso sia del capitale che degli oneri derivanti dal mutuo si fa fronte con quota parte del gettito derivante dalle maggiorazioni dell’aliquota d’imposta regionale sulle attività produttive (I.R.A.P.) e dell’addizionale regionale sulle persone fisiche (I.R.PE.F.).

«Attestato che, in Sicilia, tali addizionali regionali siano al massimo consentito dalla Legge, si evidenzia come tale addizionale sulle attività produttive (I.R.A.P.) sia tanto alta da costituire dumping Istituzionale: in altre parole le imprese che operano in Sicilia sono maggiormente penalizzate dal sistema tributario regionale rispetto alle altre imprese che operano nell’intera Penisola».

E ancora:

«Le imprese siciliane sane, che chiudono in pareggio o con piccolo utile, falliscono per Legge della Regione (I.R.A.P.) dopo tre/quattro anni di attività per effetto di una tassa insostenibile che, per il pagamento della quale, costringe le imprese a ulteriore debito bancario, peraltro rifiutato alle stesse perché in violazione delle norme di Basilea. Tale addizionale regionale ha avuto gli stessi effetti di uno tsunami determinando la ormai acclarata desertificazione produttiva nell’Isola.

Pensare di poter ancora mantenere le stime di incassi di tali tributi ai livelli degli anni passati significa essere non solo in mala fede ma non aver una compiuta visione territoriale sullo stato economico delle imprese produttive siciliane. Nei prossimi anni i tributi per Irap saranno se non nulli marginali tanto che le ipotesi di poter abbassare nei prossimi anni tale tributo appaiono visionarie».

Anche perché l’addizionale regionale all’I.R.PE.F, «nel 2007 vedeva interessati circa 1,7 milioni di cittadini siciliani, nel 2015 vedrà solo 1,2 milioni di cittadini assoggettati a questo tributo. Mezzo milione di cittadini che non verseranno tale tassa dovrebbe scoraggiare ipotesi ottimistiche di riduzione dell’addizionale ma si continua a sognare opulenza, sarà impossibile ridurre tale imposta».

La promessa, dunque, di un abbassamento delle aliquote, sembrerebbe una promessa da marinai. 

Non solo. Un altro elemento che dovrebbe fare riflettere i parlamentari è il calo dei consumi al quale «corrisponde minor gettito per iva, minori entrate per la Regione Siciliana. Minori consumi, minori entrate, maggiori tasse, siamo entrati in un circuito economico e sociale perverso ormai al collasso e si continua ad indebitarsi- sottolinea Progetto Sicilia- per pagare spesa corrente invece che per gli investimenti». 

Piuttosto il problema, per i firmatari della diffida è solo uno e andrebbe risolto alla radice: una  spesa corrente, ormai fuori controllo. E, che lo sia «lo testimonia l’assunto ormai incontrovertibile che sebbene, nell’anno in corso, lo Stato abbia trasferito oltre € 4 miliardi destinati al Servizio Sanitario Regionale meno della metà di queste risorse siano state utilizzate a tal fine, il resto è servito a coprire altre “incombenze” di bilancio sempre relative alla spesa corrente mai per la spesa in conto capitale o finalizzata alla crescita e allo sviluppo dell’Isola».

Questo è la prova che i vincoli relativi di destinazione al pagamento dei debiti del Servizio Sanitario Regionale potrebbero essere sempre e comunque disattesi come già fatto in occasione del precedente mutuo di € 606.097.000 destinato al pagamento dei debiti verso i creditori del Servizio Sanitario Regionale ma diversamente utilizzato.

«In buona sostanza, questi mutui mascherati da Disposizioni in materia di pagamenti di debiti della Pubblica Amministrazione servono solo e soltanto per pagare spesa corrente e poiché da questo ulteriore indebitamento è lecito aspettarsi il mantenimento agli stessi livelli degli anni passati viceversa le entrate correnti continueranno a calare per effetto di un livello tributario il più alto al mondo che scoraggia non solo la ripresa e l’insediamento di nuove attività produttive ma anche nel migliore dei casi la fuga se non il fallimento delle poche imprese produttive ormai rimaste nel territorio».

Dopo la disamina tecnica, Progetto Sicilia torna a ribadire che la soluzione ai mali economici della Sicilia, sarebbe l’introduzione di un sistema monetario complementare (Il Grano) «che consentirebbe di creare subito 250.000 posti di lavoro, stabilmente; riconoscere un reddito sociale pari a € 10.000 l’anno a tutte le famiglie in difficoltà; determinare un saldo attivo pari a € 3 miliardi l’anno beneficiando i conti della Regione». 

Nessun ottimismo sul fatto che i parlamentari si soffermeranno sui danni che questo nuovo mutuo comporta per le tasche dei siciliani, ma «considerato che parliamo di atti illeciti- dice Pizzino- come minimo la Corte dei Conti dovrà aprire una inchiesta. I nostri legali sono pronti a dare battaglia».


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