In un discorso particolarmente ispirato il procuratore generale della Corte d'appello di Palermo parla di una mafia che «non avanza, ma non arretra in modo significativo, per via del crescente degrado sociale». Colpa delle disuguaglianze e di una certa gestione pubblica: «È stata disattesa la speranza seguita al periodo stragista»
Anno giudiziario, la denuncia del giudice Scarpinato «Povertà e politica danneggiano cultura legalità»
«C’è un arretramento complessivo della cultura della legalità». È un quadro sconfortante quello disegnato dal procuratore generale della Corte d’appello di Palermo Roberto Scarpinato durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2017. Un quadro in cui la mafia «non avanza, ma non arretra in modo significativo, per via del crescente degrado sociale soprattutto nell’area metropolitana di Palermo». E questo fenomeno, secondo il magistrato, si riscontra anche in ambiti esterni a quello strettamente legato a Cosa nostra. «L’incremento statistico – aggiunge – riguarda più o meno tutti i tipi di reati. Questo deve indurci a una riflessione: la cultura della legalità perde progressivamente terreno anche perché è stata disattesa la speranza che fosse possibile coniugare cultura e legalità seguita al periodo stragista».
«Le famiglie a rischio di povertà in Sicilia sono in crescita – prosegue Scarpinato – la disoccupazione giovanile sfiora il 60 per cento e molti sono quelli che se ne vanno o che accettano condizioni di sfruttamento. In tanti perdono fiducia nelle istituzioni». E il risultato non può che essere l’allontanamento della gente dai palazzi e da ciò che rappresentano. «Cito il procuratore – continua – dicendo che viene meno la collaborazione dei cittadini nei reati. Soprattutto nel caso delle estorsioni, dove la collaborazione spontanea è ancora troppo bassa. Scarsa o nulla la propensione alla denuncia per il resto di usura: le vittime non vogliono rischiare di perdere l’unica paradossale fonte di sostentamento. Nulle le denunce da parte dei lavoratori che lavorano in condizioni di pericolo».
La povertà, secondo il magistrato, è il fattore che molto spesso porta quasi giocoforza a sconfinare nell’illegalità. «Molti non denunciano le estorsioni mafiose proprio perché essi stessi coinvolti in altrettante attività illecite, dall’evasione al furto di energia elettrica. Per questo esiste un’area sommersa che sfugge alla magistratura. Tale regresso non attesta una diminuzione dei fenomeni criminali infatti, ma un deficit nel comprendere tutto quello che in realtà non emerge. L’illegalità sommersa». Un’illegalità foraggiata dalla crescita delle disuguaglianze sociali che ha minato la solidarietà «dovuta alle politiche economiche del paese e a scelte di politica criminale che andrebbero ripensate».
Su tutte, per esempio, «la depenalizzazione dei reati tributari – come l’evasione – ha avuto non pochi effetti. E ha rivelato l’illusorietà della convinzione di poter recuperare le cifre con il semplice strumento del controllo». Quello della distribuzione del reddito è un altro tema che al giudice sta molto a cuore, così come l’«abuso del potere pubblico per finalità illecita: questo resta un vasto iceberg duro da estirpare. Serve autorizzare intercettazioni e altri strumenti di indagine per poter fare chiarezza. La risposta giudiziaria, poi, verso la criminalità dei colletti bianca rimane priva di qualsiasi effetto deterrente, nonostante l’intenso lavoro svolto. È tempo di riportare al centro della questione il tema delle disuguaglianze e della giustizia sociale».