Anatomia della paura

di Claudia Corbari

“Se non c’è paura non si combina niente di buono” (A. Baricco, Mr Gwyn).

La paura può essere definita come una “emozione primaria di difesa provocata da una situazione di pericolo reale anticipata dalla previsione, evocata dal ricordo o prodotta dalla fantasia” (Galimberti, 2006); è comprensibile, dunque, volerla allontanare a tutti i costi dalla propria esperienza di vita. (a destra, foto tratta da matteomaserati.it)

La reazione che il corpo manifesta nel momento in cui prova l’emozione paurosa è molto complessa, poiché interviene il sistema nervoso autonomo; quest’ultimo è responsabile delle reazioni organiche ed è in grado di preparare l’organismo alla situazione d’emergenza attivando generalmente due possibili reazioni: attacco e fuga.

Il corpo attiva, quindi, dei meccanismi di difesa funzionali atti a far fronte alla situazione paurosa che si verifica e, nello specifico, l’uomo attiva dei meccanismi di difesa primitivi grazie al circuito primitivo della paura ma, a differenza degli animali, possiede anche altri due circuiti denominati razionale e conscio.

Il circuito primitivo fa capo al sistema limbico ed, in particolare, all’ipotalamo e all’amigdala che si occupano rispettivamente della regolazione degli ormoni e di individuare l’intensità degli stimoli ricevuti; il circuito razionale è rappresentato dal collegamento tra la corteccia prefrontale ed il sistema limbico e permette di valutare le informazioni; infine, dal sistema conscio scaturisce una reazione più complessa di fronte al pericolo rilevato (Lavanco, 2003).

Accennare, seppur brevemente, a cosa accade nel momento in cui si sperimenta la paura è utile in quanto permette di non demonizzare un’emozione che può avere una sua funzione adattiva.

Infatti, se in alcune occasioni la paura può essere in grado di immobilizzarci non permettendoci di reagire o, addirittura, boicottando i nostri desideri, in altre situazioni essa ci permette di non reagire o agire in maniera non avventata rendendoci più prudenti ed facendoci evitare il rischio.

La paura non deve quindi essere evitata, ma accettata, rispettata ed interpretata come un campanellino d’allarme dinnanzi ad un evento dal quale non bisogna fuggire. L’ideale sarebbe, quindi, riuscire a gestire ed affrontare le paure prendendo coscienza che la fuga è spesso una soluzione a breve termine e che invece, molto spesso, le situazioni vanno affrontate con consapevolezza ed informazione.

Sapendo che la paura ha un suo decorso ed influenza l’individuo sia a livello fisico, sia a livello psicologico, la cosa più corretta da fare sarebbe proprio cercare di comprendere quali sono le cause dell’intensa emozione provata, attribuendo un significato a ciò che si sta vivendo. In tal senso, lo psicologo lavora sull’attribuzione di senso e di significato rispetto a ciò che il paziente sta vivendo e sulla percezione che il soggetto ha relativamente alle sue azioni.

È chiaro che, come sempre, lo psicologo è un professionista che si occupa di aiutare e supportare gli altri solo ed esclusivamente nel caso in cui questi ultimi vogliano essere aiutati agendo attivamente nel proprio percorso. La delega delle proprie problematiche allo psicologo non serve certo a risolverle, ma a fuggire da ciò che appartiene intimamente a se stessi.

 

Riferimenti:

Lavanco G., 2003. Psicologia dei disastri. Comunità e globalizzazione della paura. Milano: Franco Angeli.

Galimberti U., 2006. Dizionario di psicologia. Bergamo: Gruppo Editoriale l’Espresso.

 


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