All’Ars l’equivoco dei canoni demaniali

Nel 1860, quando la Sicilia venne, di fatto, ‘conquistata’ dai Savoia, il nuovo Stato unitario scippò alla Chiesa cattolica tanti beni immobili. Lo fece perché chi aveva unificato ‘unificato’ l’Italia erano per lo più i massoni che detestavano il Papa e il guelfismo. Una ritorsione, in pratica.

In realtà, oltre alla ritorsione contro la Chiesa, c’era dell’altro. C’era l’esigenza, da parte dei Savoia, di fare ‘cassa’ per pagare le spese della ‘conquista’ dell’Italia passata alla storia, in forza di un equivoco, come unificazione.

Ai Savoia non bastavano i soldi derubati alle banche del Mezzogiorno d’Italia. Da predoni piemontesi quali erano, volevano di più. E trovarono il modo di averlo. Scippando, per l’appunto, i beni immobili che la Chiesa deteneva, per esempio nel Sud Italia, Rivendendoli agli stessi siciliani.

In pratica, con questa trovata, i piemontesi, rivendendo ai siciliani ciò che già era della Sicilia, drenarono un copioso flusso di risorse finanziaria alla Sicilia, trasferendolo a Torino. Altro che antiguelfismo!

Una cosa molto simile, anche se con le dovute differenze, la sta facendo oggi il Governo regionale di Rosario Crocetta che, aumentando a dismisura i canoni demaniali, sta provando a fare pagare ai siciliani i soldi che si è fatto scippare da Roma.

Il dibattito andato in scena stasera a Sala d’Ercole sui canoni demaniali è stato interessante. Ma nessuno ha detto – né il Governo, né i parlamentari intervenuti – che tutto questo ‘bordello’ sull’aumento dei canoni nasce dal fatto che il Governo nazionale, nel nome del Fiscal Compact (un trattato internazionale demenziale firmato dal Governo Monti e dal vecchio Parlamento nazionale, che prevede, per il nostro Paese, un versamento di 50 miliardi di euro all’anno per ridurre il debito pubblico), ha scippato alla Sicilia, come già accennato, 800 milioni di euro dal proprio bilancio. Una totale follia che ha già messo in ginocchio il nostro Paese.

Per riprendere almeno una parte di questi 800 milioni di euro che la Sicilia si è fatta scippare da Roma, nel nome di una sempre più fallimentare Unione Europea, il Governo di Rosario Crocetta ha deciso, tra le altre cose, di aumentare, dall’oggi al domani, i canoni demaniali del 630 per cento.

In Aula l’assessore al Territorio e Ambiente, Mariella Lo Bello (dietro la quale, per chi non lo sapesse, c’è l’ex presidente della Regione, oggi parlamentare nazionale del Pd, Angelo Capodicasa: uno che la sa lunga), ha ammesso che ha firmato il decreto di aumento dei canoni senza concertazione. Ma, ha aggiunto che rimedierà avviando questa benedetta concertazione con le imprese.

Il dibattito di stasera, all’Ars, è andato in scena all’insegna di un equivoco. I tanti parlamentari (soprattutto del centrodestra, ma non solo) pensavano che l’assessore Lo Bello avesse ritirato il decreto. Alla fine degli interventi dei deputati, lo stesso assessore Lo Bello ha precisato di non aver affatto ritirato il decreto: ne ha solo rinviato gli effetti.

Insomma, abbiamo assistito a una commedia degli equivoci. Detto questo, dobbiamo dire – fatta salva l’esigenza di aumentare i canoni, che in Sicilia, in certi casi, sono vergognosamente bassi, se non ridicoli – che quello che non ci convince, di questo Governo regionale, è la filosofia: ovvero l’idea di far pagare ai siciliani i soldi che Roma ci scippa.

Di fatto, Roma si è presi i nostri soldi e il Governo Crocetta li sta chiedendo, almeno in parte, alle imprese che operano nel demanio. E’ la stessa operazione fatta dai Savoia: solo che i soldi il Governo Crocetta se li è già fatti scippare e, adesso, li sta chiedendo agli imprenditori siciliani e che operano comunque in Sicilia. Questa è l’evidenza delle cose.

Quanto al tema, hanno ragione i parlamentari di centrodestra (Enzo Fontana, Giorgio Assenza) quando dicono che un aumento del 630 per cento dei canoni attuato a ridosso della stagione turistica – peraltro in un momento di fortissima crisi economica – metterebbe in ginocchio chi gestisce gli stabilimenti turistici. Ma è impensabile non ipotizzare gli aumenti dei canoni.

La verità – come è stato sottolineato nel dibattito – è che il decreto, così com’è stato scritto, non ha tenuto conto delle tante situazioni che si riscontrano lungo le coste siciliane, ognuna diversa dall’altra. In questi casi si ragiona con il cosiddetto canone ricognitivo, che tiene conto dei diversi casi.

Antonello Cracolici, parlamentare del Pd, ha ricordato – citando il caso di Mondello, a Palermo – che i commercianti che operano a due passi dal mare pagano cifre irrisorie, mentre gli esercizi commerciali che si trovano nella stessa piazza di Mondello pagano canoni di gran lunga maggiori. Una sperequazione odiosa.

L’assessore Lo Bello, nell’intervento a conclusione del dibattito, ha detto che il decreto non verrà ritirato, ma che verrà scritto con il contributo degli imprenditori.

Ciò posto, ci permettiamo di avanzare una proposta. Il canone viene pagato anche dai grandi gruppi nazionali che operano in Sicilia nel settore della chimica. Questi signori, in barba all’articolo 37 dello Statuto, non pagano le imposte in Sicilia. Inquinano la nostra Isola, pagano le imposte nelle regioni del Nord Italia e si portano il valore aggiunto fuori dalla Sicilia. Una triplice fregatura.

Bene: invece di aumentare il canone del 630 per cento in modo generalizzato, si potrebbe, da un lato, modulare l’aumento del canone per le imprese siciliane in ragione non del fatturato, ma di una sorta di studio di settore (calcolarlo sugli utili sarebbe impossibile, perché ogni impresa dimostrerebbe di guadagnare pochissimo), evitando, comunque, aumenti dei canoni eccessivi; dall’altro lato, per i grandi gruppi nazionali che operano in Sicilia nella chimica, si potrebbe pensare ad aumenti del 6 mila per cento.

Per esempio, un aumento del 6 mila per cento del canone sarebbe più che corretto per lo stabilimento di Gela (che in questi giorni ha inquinato il mare); sarebbe più che corretto per lo stabilimento industriale di Milazzo; sarebbe più che corretto per gli stabilimenti industriali di Priolo e Melilli; sarebbe più che corretto, là dove questo si configurerebbe, per Terna; sarebbe più che corretto per tutte le cementerie; sarebbe più che corretto per le raffinerie.

Assessore Lo Bello: non ci venga a dire che un aumento del 6 mila per cento del canone, per questi gruppi, scoraggerebbe l’attività d’impresa. Lei, stasera, in Aula, in lingua siciliana, ha detto che chi gestisce un’attività economica e non ci guadagna chiuri putia. Bene. Sarebbe singolare, però, se questo principio dovesse valere per le imprese siciliane che operano nel nostro demanio e non dovesse valere, invece, per i gruppi nazionali che operano in Sicilia, nel settore della chimica o dell’energia, nelle stesse aree demaniali.

Giusto far pagare canoni più salati ai circoli ‘in’ delle città siciliane dislocati lungo le coste. Giusto far pagare di più ai Porti, che oggi pagano da un minimo di 50-60 mila euro a un massimo di 500 mila euro all’anno. Ma lo stesso principio vale per i grandi gruppi industriali non siciliani che operano nella nostra Isola.

Lei stasera ha affermato che è giusto far pagare in ragione dell’importanza delle attività economiche. E noi diciamo: appunto. Le attività economiche delle grandi industrie chimiche sono molto importanti e possono reggere benissimo un aumento del canone del 6 mila per cento.

Assessore Lo Bello: aumentando a questi gruppi il canone del 6 mila per cento altro che incasso dei 40 milioni di euro che avete iscritto in bilancio! La Regione incasserebbe molto di più. Facendo pagare gruppi economici che hanno sempre succhiato il sangue alla nostra Isola lasciandoci solo l’inquinamento.

Le sembra una proposta troppo ‘socialista’ e troppo ‘autonomista’? Assessore Lo Bello, lei è una donna di sinistra, no? Sul socialismo ci dovremmo essere, allora. Se poi ha dubbi sull’autonomismo del suo Partito – lei, se non ricordiamo male, viene dal vecchio Pci – legga o si rilegga il discorso che Palmiro Togliatti tenne a Messina all’indomani del secondo conflitto mondiale. Scoprirà che, già in quegli anni, l’allora leader del Pci ipotizzava una Sicilia molto più autonomista di quanto, forse, molti comunisti non ha mai immaginato.

Allora dovrebbe essere ben felice di adottare un provvedimento che toglie ai ricchi (che sono furbi e responsabili dell’inquinamento) per dare un po’ di più alla nostra Isola. Nel nome del Socialismo e dell’Autonomia.

 

 

 


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