Aggressioni in ospedali, chiesto incontro con prefetto «Casi eclatanti avvenuti in strutture frequentatissime»

«Tu già hai parlato troppo». È questo che avrebbe risposto con stizza all’inserviente che lo invitava ad uscire il parente di un paziente ricoverato all’ospedale Cervello, prima di aggredirlo e rompergli il timpano. Ma questo è solo uno degli episodi più recenti di una serie che si trascina da tempo e che dà la percezione di un’incontrollabile escalation di violenza. Lunedì è toccato a un medico di turno nel reparto di Chirurgia di Villa Sofia, che ha rimediato un colpo di casco sulla schiena, sempre da parte di un parente di un degente che aspettava di essere trasferito di stanza. Mentre il sabato precedente un’altra scena di violenza si è verificata all’ospedale dei Bambini, dove un papà, stravolto dalla notizia della morte del figlioletto neonato, ha aggredito fisicamente quattro medici della struttura. Di poche ora fa, infine, la notizia di ben due aggressioni subite da un infermiere del Civico nel giro di poche ore: prima offeso e spintonato da tre familiari di una ragazza in attesa al pronto soccorso in codice verde e poi inseguito e preso a pugni dal padre di una bambina. «Era prevedibile», è il commento secco il segretario territoriale di Fsi-Usae Calogero Coniglio.

«C’è qualcosa che evidentemente nel sistema non va – dichiara -. Gli episodi sono molteplici e si verificano dappertutto, ma i recenti casi di Palermo sono davvero eclatanti, perché avvenuti in strutture e luoghi molto frequentati, come i pronto soccorso spesso sovraffollati, non in luoghi isolati». A sentire i toni allarmati del sindacalista, è come se alzare le mani e ricorrere alla violenza fisica – oltre che verbale – stia diventando una consuetudine, a Palermo come altrove, qualcosa a cui abituarsi. Motivo per cui lunedì il sindacato chiederà ufficialmente un incontro alla prefetta Antonella De Miro: «Non c’è migliore occasione per farci convocare – spiega Coniglio -. Già quattro anni fa siamo stati ricevuti, adesso chiediamo di nuovo un confronto sul tema, nella speranza che ne esca fuori un documento condiviso con idee e soluzioni da adottare, firmato dentro la prefettura e che porterò personalmente all’assessore alla Sanità Ruggero Razza e, perché no, magari anche al presidente Musumeci».

Non nasconde, infatti, il suo entusiasmo per l’intervento dei giorni scorsi del presidente della Regione, che è entrato a gamba tesa sull’argomento con una nota in cui condanna duramente i recenti casi avvenuti nell’Isola e invita a una riflessione collettiva: «È intollerabile che professionisti debbano, nel proprio posto di lavoro, essere esposti a tali rischi ed è altrettanto inqualificabile il metodo di chi intende farsi ragione con la violenza – si legge -. Ho scritto ai nove prefetti della Sicilia, chiedendo loro di convocare al più presto possibile i rispettivi Comitati per l’ordine e la sicurezza pubblica, per discutere in quelle sedi le opportune soluzioni per fronteggiare una vera e propria emergenza».

E il segretario Coniglio, dal canto suo, non ha dubbi: «Devono essere le pubbliche amministrazioni a intervenire». Nelle intenzioni del sindacato, infatti, c’è anche quella di chiedere lo stesso incontro al sindaco Leoluca Orlando, ma c’è meno ottimismo: «Ha evaso sempre questa nostra richiesta, forse temi come la sicurezza nel mondo della sanità non gli interessano o non sono fra le sue priorità – spiega -. Eppure noi avevamo solo chiesto un confronto ufficiale. È vero che i sindaci non sono direttamente responsabili delle strutture sanitarie, ma lo sono della salute dei cittadini». E le idee in ballo sono molte: dai corsi di aggiornamento per una migliore formazione del personale, in modo da fornire gli strumenti necessari per gestire e fronteggiare episodi critici, agli interventi puramente logistici e tecnici riguardanti l’assunzione di vigilantes e l’installazione di telecamere per la videosorveglianza, anche se vige il divieto assoluto per legge di installarle nei corridoi dei singoli reparti per tutelare la privacy dei pazienti. Un ostacolo, questo, che secondo il sindacato si potrebbe anche aggirare puntando l’inquadratura all’altezza dei piedi e non dei volti o subito all’esterno delle strutture.

«Serve fare subito il punto della situazione ragionando su ogni caso singolo, su ogni struttura, pronto soccorso per pronto soccorso: quante guardie mediche ci sono qui, se ce ne sono? Quanti impianti di ripresa? E in che condizioni sono? – spiega ancora Coniglio -. Monitorare insomma ogni realtà. Ma di questo si può discutere solo sul tavolo prefettizio, con una convocazione anche dei singoli direttori generali, mettendo tutto nero su bianco e dando il via a questo monitoraggio per frenare l’imbarbarimento della gente». Soluzioni, queste, non solo per imparare a gestire la rabbia di chi finisce per aggredire il personale medico, ma anche e innanzitutto per migliorare le condizioni generali dei luoghi di cura, specie dei pronto soccorso: dal ridurre le lunghe attese al migliorare gli ambienti angusti, e ancora garantire vie d’uscita per le emergenze e fornire tutte le strutture di adeguate porte antisfondamento. 


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