C'è chi ha problemi di depressione, chi di alcolismo o di patologie come il lupus. In tutto circa 2.500 siciliani ospitati nelle case alloggio che, secondo la Regione Sicilia, si occupano solo di assistenza. «In realtà noi facciamo anche cura e riabilitazione», spiega Francesco Lirosi, presidente del coordinamento di settore. Eppure non sono inseriti tra le strutture sanitarie siciliane - un'anomalia nel panorama italiano -, gli stipendi tardano ad arrivare da uno o due anni e i Comuni limitano i ricoveri per risparmiare
A rischio 250 strutture per la salute mentale «Siamo fuori dal circuito sanitario regionale»
Cristina ha circa quarant’anni. Alta, molto magra, lunghi capelli ricci, prende la parola con decisione. Racconta prima con emozione i suoi problemi di depressione e alcolismo. «Non ho parenti, non ho nessuno. Nella mia vita ho avuto vicino solo gli operatori – continua in un crescendo di rabbia – Se le comunità chiudono, io dove vado? Sotto gli Archi della marina? O dal governatore Crocetta?». Quella di Cristina è solo una delle storie raccontate questa mattina nel corso di un incontro con i cittadini affetti da patologie mentali, i loro familiari e gli operatori del settore. Tutti concordi nel denunciare il vuoto mai riempito davvero dalla Regione Sicilia che inserisce le comunità alloggio tra le strutture socio-assistenziali e non tra quelle del circuito sanitario. Un’anomalia tutta siciliana nel panorama nazionale. «Si opera in questa specie di ghetto, come se la salute mentale non fosse una branca della medicina», commenta Antonella D’Urso, rappresentante delle associazioni dei familiari e presidente del comitato per il piano strategico per la salute mentale.
Un piano pensato dalla stessa Regione nel 2012 ma mai attuato. «Sembrava che la politica si fosse accorta di noi, soprattutto perché nel piano era prevista una concertazione tra dirigenti, cooperative, utenti e familiari – continua D’Urso – Ma oggi la Regione stessa si contraddice». Come nel caso dell’integrazione tra i servizi esistenti e la rete socio-sanitaria regionale inserita nell’articolo 19 della Finanziaria ma congelata dal commissario statale. «Noi non chiediamo l’elemosina, ma che questo mondo venga regolamentato meglio», aggiunge Francesco Lirosi, presidente del Coresam (coordinamento regionale di soggetti e risorse per la salute mentale).
Eppure il problema che rischia di portare alla chiusura di molte delle oltre 250 strutture isolane e la perdita di circa duemila posti di lavoro è anche economico. Perché molti operatori aspettano gli stipendi da uno o due anni. Un ritardo dovuto ai mancati pagamenti da parte dei Comuni – con cui le cooperative sono convenzionate – e che si traduce anche nel tentativo delle amministrazioni di risparmiare sui ricoveri, nonostante il parere dei dipartimenti di Salute mentale delle Asp. Ma la situazione, denunciano i lavoratori, non riguarda allo stesso modo tutta l’isola: tra i problemi, infatti, ci sarebbe anche una poco equa distribuzione delle case alloggio nelle diverse aree. Tutti motivi che portano operatori, familiari e utenti a richiedere una seria riforma del sistema, il cui punto di partenza sarebbe l‘inserimento a pieno titolo delle comunità tra le strutture sanitarie regionali. «Perché, oltre all’assistenza, noi facciamo anche cura e riabilitazione», spiega Lirosi.
«Il problema è che i finanziamenti favoriscono anziani e minori – spiega Vera Cavallaro, familiare che a stento trattiene le lacrime – È una guerra tra poveri, ma bisogna essere dentro per capire la situazione». Quella che vivono ogni giorno circa 2.500 disabili mentali, invisibili ai più. «Viviamo in una società così folle che è difficile definire chi sono gli utenti – conclude Maria Fisicaro, referente regionale del coordinamento nazionale utenti salute mentale – Per me sono quelli che pagano il prezzo della propria sensibilità, soprattutto di questi tempi in cui la depressione è il male del secolo».