Simonetta Sodi e Jabranne Ben Cheikh sono tra i condannati nel processo Scorpion Fish. Il secondo, l'anno scorso, avrebbe ricevuto un trattamento «non dignitoso», nei giorni in cui avrebbe minacciato alcuni agenti. La donna teme che la storia possa ripetersi
Pagliarelli, nuova denuncia sulle condizioni carcerarie «Mio marito seminudo in un materasso intriso di urina»
«Mio marito è stato lasciato seminudo in una cella spoglia, con soltanto un materasso intriso di urina e pieno di sporcizia. E adesso temiamo che la situazione possa ripetersi tra qualche settimana». A riportare al centro dell’attenzione le condizioni del carcere Pagliarelli di Palermo è Simonetta Sodi, 57enne originaria di Calenzano, in provincia di Firenze, che a maggio è stata condannata a tre anni e quattro mesi nel processo di primo grado seguito all’inchiesta Scorpion Fish.
Sodi, per i giudici del tribunale di Palermo, avrebbe avuto un ruolo nel traffico di migranti tra la Tunisia e la Sicilia, che avrebbe avuto nel marito Jabranne Ben Cheikh – condannato in primavera a sette anni e quattro mesi – il principale organizzatore. Al centro del processo ci sono i viaggi su gommoni veloci che avrebbero collegato la costa nordafricana a Marsala, consentendo l’ingresso in Italia in poco più di tre ore. Facilitazioni, se confrontate con le traversate nei barconi, che portarono i magistrati palermitani a sostenere che quel collegamento potesse essere stato usato per favorire l’arrivo di terroristi, anche se questa ipotesi non è mai stata cristallizzata nelle carte di un’inchiesta che ha fatto discutere anche per i presunti errori nella traduzione delle intercettazioni.
A tenere in pensiero Simonetta Sodi al momento non è tanto il timore che le accuse possano essere confermate anche in secondo grado, bensì la vigilia del processo, quando il marito dovrà essere trasferito al Pagliarelli. Ben Cheikh, infatti, attualmente è detenuto nel carcere di Prato, dove sta scontando un’altra condanna per droga. «Ho paura che possa essere trattato male», dichiara la donna a MeridioNews. L’ansia è legata a quanto sarebbe accaduto, l’anno scorso, in occasione di un trasferimento simile per assistere al processo di primo grado. «Jabranne è arrivato a Palermo il 21 marzo 2018 e poco dopo essere entrato in carcere gli è stato detto di togliersi le scarpe, perché – racconta Sodi – quelle che portava non andavano bene. Nonostante fossero le stesse che indossa nel carcere di Prato. Per settimane ha indossato un paio di sandali infradito, nonostante il clima fosse ancora rigido».
La situazione sarebbe peggiorata a inizio aprile. «Pochi giorni prima dell’udienza è stato spostato in un locale che definire cella è generoso – prosegue la moglie di Ben Cheikh -. Gli hanno tolto tutti i vestiti, escluso le mutande e lo hanno fatto dormire per tre giorni su un materasso che puzzava di urina. Lo hanno privato della dignità. Condizioni che non meriterebbe di vivere nessuno, essere detenuti non significa non avere il diritto di essere trattato come un essere umano». Sodi, in vista del nuovo trasferimento nel penitenziario palermitano, ha deciso di scrivere una lettera alla direzione del Pagliarelli e al garante dei detenuti. «Anche io per l’udienza sarò a Palermo e chiederò un incontro con mio marito, spero davvero che una situazione di quel tipo non si ripeta».
Nei giorni successivi allo spostamento di cella, Ben Cheikh è stato denunciato per minacce. L’8 aprile, l’uomo avrebbe detto agli agenti della polizia penitenziaria: «Il primo di voi che entra di nuovo gli taglio la faccia». Una ricostruzione che la moglie non ritiene verosimile. «Jabranne a volte ha un caratteraccio, ma non avrebbe mai detto quella frase. Quando è nervoso – conclude – parla soltanto in arabo».