Anno giudiziario, Lo Voi sul binomio mafia-corruzione «Rompere asse di connivenza fra corrotto e corruttore»

«Le mie considerazioni saranno prive di dati, eppure si fondano proprio sui dati». Il procuratore capo di Palermo Francesco Lo Voi inizia così il suo discorso alla sala stracolma del tribunale. Discorso che parte subito con un’annotazione dolente: «È stato dato esclusivo rilievo da parte della stampa alla partecipazione dei magistrati alla vita politica: ci si è soffermato molto su questo e non su altri punti che secondo me meritano altrettanta attenzione». Il procuratore capo, in particolare, bacchetta quei giornalisti che hanno dimostrato di essere dediti alla sola pubblicazione di «post-verità, notizie false, inventate o non confermate e ritenute vere solo perché ripetute e amplificate». Definite pubblicazioni potenzialmente pericolosissime e che rappresentano un serio rischio di inficiare le inchieste giudiziarie.

«Sembra quasi che il problema della corruzione in Italia dipenda dalla partecipazione dei magistrati alla vita politica, cosa che non mi risulta – prosegue – Ma è chiaro che tale partecipazione deve essere oggetto di osservazioni e analisi, di attenta e specifica regolamentazione, perché può incidere sull’indipendenza del giudizio». Va evitata, secondo il procuratore capo, anche solo l’apparenza che l’attività giudiziaria sia o possa essere sfruttata come «trampolino di lancio per future carriere politiche». Apparenza che finirebbe inevitabilmente per macchiare e mal interpretare l’intera attività di tutti i magistrati, che rischierebbe di essere letta solo attraverso una chiave di lettura di stampo politico.

«Il tema della corruzione, in tutte le sue varie forme, è diventato un fenomeno gravissimo, anche nella Sicilia e nel nostro distretto. Anzi, qui il discorso si complica ulteriormente – spiega – perché la corruzione si intreccia al fenomeno mafioso e le indagini diventano più difficili». Succede, quindi, che la mafia, oltre ad avvalersi della forza della tradizionale attività intimidatoria ed estorsiva, sfrutti anche la forza propria del fenomeno corruttivo: «Si rischia di meno e molte delle vittime sono esse stesse titolari di propri tornaconti personali». Il quadro legislativo in tal senso spesso non aiuta e scompare il soggetto che può essere interessato a denunciare. «Resta forte la sensazione di avere solo scalfito il muro, la superficie, e di non avere davvero danneggiato ciò che la corruzione rappresenta».

Un binomio pericolosissimo, dunque, quello fra mafia e corruzione e, per usare le parole del procuratore capo, quello fra «voglia di corruzione» e «voglia di mafia», che rischiano di fare danni enormi alla società, a cui manca ancora quel «sentimento di ripulsa sociale verso la corruzione, la stessa che invece c’è stata nella migliore stagione antimafia». Non è un caso, infatti, che i processi del 2016 celebrati in Cassazione contro la corruzione siano stati solo lo 0.5 per cento di tutti i processi. un dato di per sé significativo. «Occorre spezzare l’asse di connivenza tra corrotto e corruttore. La punizione di tutti i soggetti non aiuta piegare il fenomeno. La lotta alla corruzione deve diventare una questione culturale e questo comporta anche un incessante impegno politico – conclude – altrimenti temo che il prezzo lo pagheremo tutti».


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