Chinnici, 32 anni fa la strage di via Pipitone Federico La figlia: «L’impegno quotidiano è unica antimafia»

«Anche il mio sangue ha macchiato questo asfalto 32 anni fa e mi ferisce che si ricordino solo i magistrati, sarebbe giusto fare lo stesso ricordando gli uomini delle scorte e i sopravvissuti. Siamo dei fantasmi che circolano. Veniamo catalogati, archiviati e messi da parte». Giovanni Paparcuri, autista di Rocco Chinnici e unico sopravvissuto della strage di via Pipitone Federico, lo ripete in ogni occasione. Ci sono «vittime dimenticate». Dallo Stato e dalla gente. Alla cerimonia sul luogo dell’eccidio, dove il 29 luglio del 1983 una Fiat 126 verde imbottita con 75 chili di esplosivo tolse la vita al papà del pool antimafia, Rocco Chinnici, capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale, i carabinieri della sua scorta, Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta, e il portiere dello stabile, Stefano Li Sacchi, non ha voluto mancare neppure quest’anno.

«Vittime di serie B» le ha definite ieri Maurizio Artale, presidente del centro Padre nostro di Brancaccio, fondato dal beato Pino Puglisi. «Oggi per fortuna la mafia non mette più le bombe nelle strade di Palermo per eliminare uomini retti e giusti che non si sono fermati davanti alla sua avanzata – dice -, ma negli ultimi 50 anni ha disseminato la storia della Sicilia di “mine antiricordo”». Per questo, secondo lui, occorrerebbe istituire il “Giorno della memoria“, una giornata in cui «la Sicilia tutta si fermi per 24 ore ad onorare i suoi martiri». Ma per la figlia del giudice istruttore, Caterina, eurodeputata del Pd, esiste «solo un’antimafia: quella dell’impegno quotidiano che ognuno di noi deve mettere per ricordare e trasmettere i valori della legalità. È importante continuare a lavorare per trasmettere ai giovani i valori sani della nostra società».

Oggi in via Pipitone Federico a ricordare quelli della strage di 32 anni fa, oltre ai figli di Chinnici, Giovanni e Caterina, e ai parenti delle altre tre vittime, c’erano anche i vertici di Polizia, Arma dei Carabinieri, Guardia di finanza e Dia, il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, il presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Giovanni Ardizzone, e l’assessore comunale, Giuseppe Gini. Dopo il silenzio suonato con la tromba e la deposizione delle corone di alloro delle autorità, nella chiesa di San Giacomo dei Militari, presso il Comando della Legione Carabinieri Sicilia, è stata celebrata la messa celebrata in ricordo delle vittime della strage. 

«Ricordare il giudice Rocco Chinnici, gli uomini della scorta e il portiere dello stabile non deve essere un rito – ha detto Ardizzone – deve essere un ricordo che deve restare impresso nella mente dei palermitani e degli italiani. A maggior ragione adesso che la mafia è diventata ancora più insidiosa. La zona grigia diventa sempre più grigia e noi istituzioni dobbiamo essere sempre più determinati». Per Scarpinato, Chinnici è stato «un apripista, capace di rompere il muro di silenzio e avviare una nuova fase storica. Con lui si passò dalle indagini ai soli uomini della mafia militare a quella dei colletti bianchi».

Rocco Chinnici divenne capo dell’Ufficio istruzione del Tribunale di Palermo nel 1979. A lui fu attribuito il merito di aver cambiato per primo la strategia di lotta a Cosa nostra. Lo fece creando il pool antimafia e chiamando accanto a sé giudici del calibro di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ma lo fece anche comprendendo che il contrasto alla mafia doveva seguire due direttrici: l’attacco diretto ai beni dei boss e la sensibilizzazione dell’opinione pubblica verso il fenomeno mafioso. 


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