Gesip, operai di nuovo in piazza. E la Regione che fa?

La crisi sociale, almeno a Palermo, si aggrava prima del previsto. Oggi sono scesi in piazza i lavoratori della Gesip. La situazione è confusa. Si parla di accordi raggiunti a Roma e a Palermo. Ma gli operai non sono tornati a lavoro: sono di nuovo per le strade di Palermo a protestare.

L’assessorato regionale al Lavoro fa sapere che i soldi per la Cassa integrazione ci sono, ma non bastano per tutti. Il rischio è che restino fuori proprio i lavoratori della Gesip, la società del Comune di Palermo dove prestano servizio oltre mille e 800 lavoratori.

Il problema è generale. Perché i mille e 800 addetti della Gesip hanno capo che tutte le lotte che hanno condotto fino ad oggi sono servire per avere la Cassa integrazione fino a dicembre (ma non è detto, con quello che sta succedendo). E dall’1 gennaio del prossimo anno? Mistero.

Poche notizie anche per i 3 mila ex Pip di Palermo. Qui la confusione è maggiore. Alcuni di questi lavoratori hanno ricevuto il Tfr, sigla che per Trattamento di fine rapporto (di fatto sono stati licenziati con una vaga promessa di riassunzione). Altri non l’hanno ricevuto. Alcuni hanno ricevuto una parte dell’indennità di disoccupazione, altri forse per intero. Anche per questi lavoratori il futuro è incerto.

Tornano a protestare anche i circa 10 mila lavoratori della formazione professionale. Meno di un mese fa è stato raggiunto l’accordo trilaterale tra Governo regionale, associazioni degli Enti formativi e sindacati confederali. La Regione si era impegnata a smaltire il pagamento delle retribuzioni arrestate. Impegno che il Governo regionale non ha mantenuto. Si temono anche ritardi anche nell’avvio dei nuovi corsi.

Non c’è ancora rumore tra i tanti precari della Regione e degli Enti locali. Ma è solo questione di tempo. Perché anche su questo fronte i nodi verranno al pettine.

In tutto questo le ‘casse’ della Regione siciliana sono vuote. Con oltre 3 miliardi di euro di entrate di difficile esigibilità, se non fittizie. Se tali entrate fittizie rimangono tali e queste somme non vengono utilizzate come spese, non ci dovrebbero essere problemi. Ma c’è il dubbio – più di un dubbio – che questi soldi servano senza che ci siano. Da qui la necessità di costituire una ‘Fondo di riserva’, voluto giustamente dalla Corte dei Conti.

La nostra sensazione è che, in Sicilia, soprattutto nella società siciliana che segue con sempre maggiore distrazione le vicende politiche e amministrative (e contabili) della Regione non ci sia contezza della gravità della situazione finanziaria. Anche perché la politica continua a promettere, ad esempio, proroghe e ‘stabilizzazioni’ di lavoratori precari fidando sull’intervento dello Stato.

Su questo punto è necessario fare chiarezza. Lo Stato, quest’anno, ha trattenuto 914 milioni di euro dal Bilancio regionale. Dal 2009 non ha erogato, attraverso l’assegnazione di una quota delle accise sui consumi degli idrocarburi, 600 milioni di euro all’anno (in pratica, non ha erogato alla Regione 3 miliardi di euro più altri 700 milioni di euro del 2007 e del 2008).

Ora, se c’è un accordo che noi non conosciamo, in base al quale con questi soldi pagherà, nei prossimi anni, i circa 100 mila precari di Regione ed Enti locali, beh, già sarebbe una cosa accettabile (anche se non utile, perché almeno una parte di questi soldi dovrebbero essere utilizzati per gli investimenti).

Ma noi abbiamo la sensazione che quello che lo Stato sta scippando alla nostra Regione – i 914 milioni di euro che ha arraffato quest’anno dal nostro Bilancio, più i 600 milioni di euro che si tiene ogni anno per la mancata erogazione delle accise sui consumi di idrocarburi (soldi che dovrebbero compensare la maggiore quota di compartecipazione della Regione alle spese sanitarie), più i 3 miliardi di euro circa di arretrati, sempre con riferimento a tali accise – sono soldi che la Regione rivedrà solo in minima parte: forse per la Cassa integrazione fino a dicembre dei lavoratori della Gesip e, forse, per la proroga dei 23 mila precari degli enti locali siciliani).

Ieri, alla presentazione del libro di Bruno Tabacci, l’onorevole Michele Cimino ha detto che, per la Sicilia, è arrivato il momento di un’operazione verità sui rapporti finanziari tra Stato e Regione. Noi siamo d’accordo con lui: serve un’operazione verità sugli articoli 37 e 38 dello Statuto; serve un’operazione verità sul Fiscal Compact (lo Stato, il prossimo anno, pensa di prendersi altri 914 milioni di euro dal bilancio regionale?

La domanda è legittima, perché il Fiscal Compact è un trattato internazionale che prevede un esborso, per l’Italia, di 50 miliardi di euro all’anno per 20 anni); serve un’operazione verità sulla quota di compartecipazione della regione alle spese della sanità (la Sicilia è l’unica Regione italiana che compartecipa alle spese della sanità pubblica mettendo, ogni anno, il 50 di quanto occorre, oltre 4 miliardi di euro).

Ben venga l’operazione verità. Perché sarebbe un errore discutere e affrontare i problemi del lavoro e del precariato in Sicilia al di fuori di un’analisi complessiva dei rapporti finanziari tra Stato e Regione siciliana.

 

 


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