Viaggio nel mondo del pallone italiano a 8 mesi dalla Finale dei Mondiali
C’eravamo tanto amati
Bandiere svolazzanti. Urla disumane di gioia. Caroselli di auto impazzite, libere di scorazzare per le vie delle nostre città. Dappertutto è un tripudio di azzurro e tricolori, degni contraltari al buio di una calda notte che si preannuncia lunga e indimenticabile per milioni di tifosi del Belpaese. Sono passati, di fatto, solamente 8 mesi da quel 9 Luglio 2006; in realtà sembrano passati secoli, forse millenni.
Una sera ti capita di essere a Catania, nei dintorni dello stadio Massimino, già Cibali; ti soffermi a pensare a quel maledetto 2 Febbraio, alla morte di un ispettore di polizia, e ti capita di guardare il muro del pianto del tifo catanese. La notte non è più calda, anzi è abbastanza fredda, come è abbastanza prevedibile in pieno inverno, anche a queste latitudini; ma capisci che cè di più, o meglio cosa non cè più: la voglia di festeggiare. Il dopo-mondiali doveva essere il trampolino di lancio per il nuovo calcio italiano, gia martoriato e traumatizzato dal famigerato caso di Moggiopoli (o Calciopoli, a seconda dei propri gusti) e deciso a darsi una nuova immagine, una nuova struttura e, soprattutto, nuove regole per riconquistare il cuore di molti suoi amanti delusi. Le solite cerimonie di rito, le solite frasi fatte, i sorrisi di circostanza, e un generale senso di fiducia (nella classe dirigente, nei calciatori, nei tifosi) per un nuovo inizio dello sport più amato/odiato nel nostro paese.
Il calcio, in Italia ma più in generale in Europa, non lascia indifferenti; o lo si accetta o lo si lascia, in toto. In fin dei conti non scordiamoci che altri sport, più o meno popolari, esistono: insomma è scientificamente provato che si può vivere anche senza il calcio, test clinici lo dimostrano. Ma è davvero cambiato qualcosa in questi ultimi mesi? La risposta, è alquanto, inevitabilmente, scontata. Ci si è liberati di personaggi che definire controversi è quantomeno eufemistico; ma questo mondo (in tutti i sensi, ahimé) continua ad essere malato. Stiamo arrivando ad un punto di non-ritorno, o forse già lo abbiamo toccato ( chi sta pensando a quel 2 Febbraio potrebbe non avere tutti i torti) e molti non se ne sono resi conto; non si può restare inermi al cospetto di unagonia così prolungata.
Tralasciando le chiacchiere da Bar Sport, i Movioloni, I processi, I controcampi & Co., non si può non dire che il vero problema che affligge il calcio sono i (troppi) soldi che vi girano attorno. Da quando sono entrati in ballo così tanti interessi, il mondo del pallone non è più lo stesso dei vostri e nostri padri. Il Dio del Denaro e la Sagra del calciomercato hanno soppiantato il Gol e il Colpo di Classe; nondimeno anche i mass media hanno le loro colpe. Se una squadra vince 17 partite di fila (Inter docet), al primo pareggio molti giornalisti gridano alla crisi (sic). Ma forse è un altro elemento importante che manca a noi Italiani: la Cultura Sportiva. Il tanto osannato Modello inglese, infatti, è retto anche da una cultura sportiva che, con le ovvie eccezioni, contraddistingue i paesi anglo-sassoni ( e anche gli USA); in Inghilterra i tifosi ospiti sono mischiati tra i tifosi di casa e gli steward. In Italia si sparano razzi da curva a curva.
Può guarire questo calcio? Ai posteri lardua sentenza; di certo proprio questo mondo del pallone è sempre sul filo del rasoio, ad un nonnulla da un coma irreversibile. Finché ci saranno nuovi scandali, nuovi scontri in campo e soprattutto tra le tifoserie, sarà dura, durissima. Forse il Calcio aspetta un deus ex machina ( e si pensava lo potesse essere il mondiale teutonico vinto) che lo riconduca ai fasti di un tempo; ma questo deus farà meglio a sbrigarsi: in lontananza, sullo sfondo, impercettibile, sembra quasi di udire il ticchettio di un orologio le cui lancette stanno andando allincontrario.