“Quella parola usata come segno di distinzione in una guerra tra bande”

Noi non possiamo essere, non vogliamo essere e non saremo mai antifascisti”, ha scritto martedì Federico Iadicicco, presidente di Azione Giovani di Roma, in una lettera al presidente della Camera Gianfranco Fini. Il precedente è dato dal richiamo di Fini “ai giovani di destra a riconoscersi senza ambiguità nei valori antifascisti della Costituzione”.
 
Abbiamo sentito in proposito l’opinione di Rosario Mangiameli, docente di Storia Contemporanea presso la facoltà di Scienze politiche di Catania.
 
Professore, la polemica è autoevidente. Da un lato una destra che si dichiara antifascista, dall’altra dei giovani della stessa destra che potremmo definire “anti anti-fascisti”, per le esperienze richiamate nella lettera da Iadicicco. Cosa ne pensa? 
Credo che si sia banalizzata la questione a un fatto di bande di teppisti. Questo riguarda la polizia, non le grandi idee politiche. Il fascismo forse è meglio di quello che pensa Iadicicco, nel senso che è stato sicuramente più importante e terribile. Non può fornire la scusa per questo genere di scontri. La fine delle ideologie ha canalizzato il valore degli ideali in parole come “fascismo” e “comunismo” che sono diventate vuote e senza senso, se usate da persone senza cultura, come banale appartenenza. Allo stesso modo potrei dirle “Io sono di Ognina, di Librino, del Borgo”.
 
Il sindaco di Roma Alemanno ha da poco fatto una proposta: inserire anche l’anticomunismo come valore della nostra Costituzione. Condivide la sua visione? 
La repubblica italiana è fondata sull’antifascismo. La proposta di Alemanno è davvero curiosa. Al di là del comunismo in Unione Sovietica, qui si parla di fascismo come fenomeno italiano.
Il Partito Comunista è stato tra i fondatori della Costituzione e ha dato un grande contributo all’edificazione della democrazia, intesa come capacità dei partiti di rinunciare all’idea dell’unicità della propria posizione per confrontarsi. E si tratta di tutti i partiti antifascisti, da quello comunista e socialista, alla Democrazia Cristiana.
Adesso il Partito Comunista non c’è più, ed è giusto così. Non possiamo confondere però una dittatura totalitaria con il comunismo in Italia.
 
Tornando a oggi, lei crede che ci sia il rischio di derive autoritaristiche? 
In realtà noi ci troviamo davanti a nuove forme autoritarie. È  su queste che dobbiamo ragionare.
 
A quali forme autoritarie si riferisce? 
Parlo della dittatura delle logiche di mercato, la dittatura della comunicazione massmediale a senso unico, la dittatura della logica che vuole il cittadino ridotto a consumatore. Il fascismo è obsoleto, sono queste le forme dell’autoritarismo moderno, direi quasi totalitarmismi, che comunque gli somigliano.
 
Alcuni giovani di An catanesi si sono dichiarati concordi col presidente della camera Fini, riconoscendosi pienamente nei valori democratici e nella Costituzione. Come lo spiega? 
E’ chiaro: questi giovani catanesi sono politicamente più avveduti. Hanno fatto bene ad analizzare il problema in termini politici e non di guerra tra bande.


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Rosario Mangiameli, docente di Storia Contemporanea della facoltà di Scienze politiche di Catania non ha dubbi: commentando la lettera aperta del giovane esponente di Ag dice a Step1: La fine delle ideologie ha canalizzato il valore degli ideali in parole come “fascismo” e “comunismo” diventate vuote e senza senso, usate come termini di banale appartenenza. Allo stesso modo potrei dire “Io sono di Ognina o del Borgo”

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