Rita Borsellino, la donna oltre il simbolo antimafia «Dopo la strage disse “usatemi” per dare l’esempio»

Di lei abbiamo imparato a conoscere, dal quel 1992 in poi, la sua tenacia e il suo saper parlare a tutti, attraverso gli incontri nelle scuole e nelle piazze, ma anche attraverso la sfida della politica. Una Rita Borsellino pubblica, in un certo senso, che da ieri tutti sentono il bisogno di ricordare e di raccontare, ognuno con la propria esperienza. Esiste una Rita inedita, però, che è quella esistita prima di quel fatidico 19 luglio che cambierà tutto, a cominciare dalla sua vita. «Fino a quel giorno è stata una donna come le altre e soprattutto una madre di famiglia. Una cattolica praticante che andava a messa la domenica e che si prendeva moltissima cura dei figli, e ogni tanto potevi trovarla dietro al bancone di quella farmacia alla Kalsa. Non aveva mai avuto nessuna esperienza con la politica, con l’attività sociale e con l’impegno pubblico in generale. Zero completo. Questa era la sua vita. È alla luce di questo che è sorprendente il modo in cui sia riuscita a parlare a tutti».

Mentre racconta di lei, scappa un sorriso sul viso di Alfio Foti, uno degli amici storici di Rita Borsellino. Con lei fino all’ultimo, anche ieri, insieme a chiacchierare tre ore prima che si spegnesse per sempre. «L’ho conosciuta solo dal ’94 in poi, non prima purtroppo. Ma della sua vita precedente, in un certo senso, mi parlò spesso. Di come fosse, di cosa facesse. Quello che so da me è che la dolcezza che ha contraddistinto le sue lotte pubbliche è stata sempre là con lei, anche prima – ne è convinto l’amico -, così come quegli occhi hanno avuto sempre quell’immutata bellezza, a cui poi si è aggiunto un dolore discreto, mai sopito». La prima volta che si incontrano, loro due, è lui a cercarla. All’epoca presidente dell’Arci, volle conoscerla per proporle di partecipare a una carovana antimafia. «Praticamente l’incontro più importante della mia vita», dice senza pensarci troppo. Da quel primo incontro a casa di lei non si lasciano praticamente più. «Abbiamo condiviso tutto in questi 24 anni, tranne il letto ovviamente», scherza Foti.

«All’indomani della strage lei fu chiara, disse alla famiglia che da quel momento la sua vita sarebbe cambiata. E in pratica è diventata un personaggio pubblico, in tutti i sensi». Parla con tutti Rita, con i piccoli e i grandi, con un linguaggio che è sempre lo stesso, è universale e sa arrivare a chiunque la incroci, la senta parlare. «Questo è l’aspetto di lei che più mi stupisce. Non aveva mai fatto queste cose prima, la sua vita era diversa. Che qualcuno, dall’alto le stesse dando una mano? – azzarda timidamente Foti – Lo confesso, per un attimo ho pensato a una cosa del genere, capisco che sembra assurdo che il fratello parlasse attraverso di lei, che la ispirasse in qualche modo. Ma la logica non spiega come sia stata capace di essere il personaggio fortissimo e potente che è stato. Una cosa sconvolgente. Quella strage penso abbia liberato in lei paradossalmente istanze e valori che lei portava già con sé».

«Quando si muore – torna a dire – siamo tutti cari e belli, lo capisco. E so che forse non riuscirò mai a essere obiettivo parlando di lei. Ma vale davvero la pena di conoscere la persona oltre il personaggio pubblico. Una donna speciale». Ai social, Foti, regala uno dei tanti aneddoti condivisi con lei. Sono a Riva del Garda, immersi in una delle tante carovane antimafia affrontate fianco a fianco. Erano partiti da Ginevra sette ore prima a bordo di un furgone. «Sette ore interamente dedicate alla decisione da prendere per la sua candidatura alla presidenza della Regione Sicilia. Seduti in un bar, in attesa dell’ incontro programmato in una scuola, Rita mi dice “Alfio, deciso, mi candido”. Le prospetto gli eventuali rischi, ma a lei interessava solo che tutto fosse fatto in maniera seria – racconta – Non c’era voglia di eroismo, premesse per volgare propaganda, non c’erano fotografi e telecamere, c’erano valori che si facevano concretezza».

E poi ci sono quegli occhi. «Gli stessi di sua madre. Sinceri, potenti. E quel sistema di valori straordinario, il suo come quello del fratello, espresso con una semplicità e autenticità che ancora sconvolgono. Mi ha detto testualmente “Usatemi”, perché sapeva che poteva essere utile, dare l’esempio». Potrebbe parlare di lei per giornate intere, Alfio Foti. Ma sa che ci sono ricordi e momenti che è necessario custodire solo per sé. «Ho condiviso con lei più di mille incontri, eppure ogni volta che l’ascoltavo finivo per piangere. Non le ho mai sentito pronunciare una parola di odio, acredine, vendetta verso la mafia. Mai. Giustizia per lei non era odio, ma ben altro. E proprio non so come facesse a tenere così in equilibrio questo profondo senso di giustizia. Quando muore qualcuno si diventa retorici, lo so, e io non sono uno che in genere si espone. Ma credo che raccontare chi fosse sia importante, anche per tentare di dare una speranza per vivere meglio in questa fase di degrado così forte».


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