Hotspot Pozzallo, a processo sei dipendenti comunali Rimborsi per l’accoglienza usati per rifiuti ed espurgo

Prima la visita di Minniti, poi più di recente quelle di Salvini e Fico. Ma anche l’avvio dell’inchiesta su Proactiva Open Arms e la storia della nave cargo danese Alexander Maersk. L’hotspot di Pozzallo, negli ultimi due anni, è finito più volte al centro della gestione dei flussi migratori, sostituendosi nell’immaginario collettivo a Lampedusa. Nella prima metà del 2018, quello pozzallese è stato il porto italiano con più sbarchi – oltre tremila, ma comunque la metà rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, quando invece era preceduto da Augusta e Catania – ma anche il luogo da cui sono state rilanciate le politiche del governo M5s-Lega sul tema che sta monopolizzando le attività del nuovo esecutivo.

Il centro di identificazione però, a partire dal 12 settembre, giorno in cui è stata fissata la prima udienza, sarà al centro del processo sulla presunta truffa e frode sulle pubbliche forniture. Alla sbarra ci saranno sei dipendenti comunali, quattro dei quali direttamente coinvolti nella gestione dell’hotspot, con ruoli di contabile, magazziniere e responsabile amministrativo. Una quinta – Giovanni Gambuzza – è deceduta prima che le indagini venissero chiuse nell’inverno del 2017. Saranno invece giudicati Rosario Trovato, 65 anni, Virginia Giugno, 52 anni, Angelo Zaccaria, 58 anni, Giampiero Bella, 56 anni, Antonio De Naro, 62 anni, e Claudio Cristina, 64 anni. Con gli ultimi due tirati in ballo per una vicenda legata al presunto smaltimento illecito dei materassini del centro, trasformati in protezione per una manifestazione di motocross.

Secondo i magistrati iblei, i dipendenti hanno sfruttato le risorse riservate all’accoglienza per spese che nulla avrebbero avuto a che vedere con la convenzione stipulata, nel 2011, con la prefettura di Ragusa. Attorno ai rimborsi i dipendenti comunali – nell’inchiesta non sono coinvolte figure politiche – avrebbero allestito una sistematica speculazione, con dichiarazioni false sia rispetto alle spese sostenute che alle rendicontazioni. Sfogliando le carte del rinvio a giudizio siglato dal gip Giovanni Giampiccolo, si scopre per esempio che, nel 2013, i gestori del centro avrebbero dichiarato di avere acquistato oltre 51mila confezioni di carta igienica a dispetto delle 750 realmente comprate. Le spese gonfiate per ottenere maggiori rimborsi avrebbero riguardato anche calze e assorbenti, per un totale 237mila euro indebitamente percepiti. Discorso simile anche l’anno successivo, quando nelle casse del Comune sono finiti 419mila euro che, stando alle Fiamme gialle, non andavano elargiti. A cambiare, nel 2014, è la voce maggiormente gonfiata: non più la carta igienica, ma i pettini. Con oltre undicimila acquisti fantasma.

Come detto, al centro del processo ci sarà poi l’uso che sarebbe stato fatto di questi soldi. In questo senso il lavoro degli inquirenti si è spinto a ritroso fino al 2011. Quell’anno il Comune ha ottenuto 176mila euro dalla prefettura, diecimila dei quali sarebbero stati spesi per pagare fatture che nulla avevano a che fare con i migranti, come nel caso di ditte che si occupano di manutenzione. L’anno successivo, secondo gli investigatori, accade qualcosa di ancora più grave: ottomila euro vengono presi dai rimborsi per i minori non accompagnati per pagare la ditta che si occupa di raccogliere i rifiuti. I finanzieri notano una particolarità: mentre nella determina dirigenziale si legge che il servizio di raccolta interessa il centro d’accoglienza, nella fattura emessa dalla ditta si parla di prestazioni erogate nel territorio comunale per – si legge nel decreto del gip – «riportare decoro nel paese a seguito della notevole affluenza di clandestini in alcune zone».

Ma a finire nel mirino della guardia di finanza sono anche altre spese. Come il pagamento di fatture all’azienda che fornisce l’acqua a Pozzallo, le spese per i lavori nella palestra comunale, l’acquisto di una fotocopiatrice, i servizi di un’agenzia funebre, fino ad arrivare alle onoranze funebri e all’acquisto degli pneumatici per un mezzo comunale che gli investigatori hanno scoperto essere sottoposto a fermo amministrativo da parte di Riscossione Sicilia. Poi c’è il caso dei farmaci: 31mila euro che la prefettura avrebbe dato come rimborso per spese effettuate tra 2011 e 2012, e che invece il Comune avrebbe usato per altro. Al centro dell’attenzione, infine, una lunga serie di mandati di pagamento relativi ad anticipi per spese che sarebbero state sostenute dall’economo – sono più di uno a essersi alternati in questo ruolo – per l’emergenza sbarchi ma che non sarebbero mai state rendicontate alla prefettura. 


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