Il sindaco Enzo Bianco si presenta in Corte dei conti Dall’«errore di invio via email» alla «crisi mondiale»

Certo, dev’essere difficile gestire un Comune come quello di Catania se a ostacolare l’amministrazione ci si mette anche l’informatica. Lo sanno bene il sindaco Enzo Bianco, l’assessore al Bilancio Salvo Andò, la ragioniera generale Clara Leonardi e la segretaria generale Antonella Liotta che stamattina, puntualissimi alle 10.30, si sono presentati nella sala adunanze della Corte dei conti di via Notarbartolo, a Palermo. Avevano chiesto alla magistratura contabile – che li aveva convocati per metà aprile – venti giorni di tempo per preparare tutti i documenti che erano stati richiesti: le memorie difensive sulla lunga serie di contestazioni mosse, per l’ennesima volta, nei confronti dei bilanci comunali del 2015 e 2016. Il termine ultimo per inviarle era tre giorni lavorativi prima della convocazione. Invece il Comune di Catania le ha inviate il 2 maggio. Un ritardo dovuto a non meglio precisate «difficoltà di trasmissione», dice la delegazione municipale ai giudici di Palermo. Ricordando quanto già accaduto nel lontano 2016, quando l’allora assessore al Bilancio Giuseppe Girlando si difendeva davanti agli stessi giudici parlando di una casella email guasta. «È lesivo del nostro diritto di contraddittorio», spiega la Corte. «La prossima volta ci attrezzeremo per mandare un dipendente del Comune a portare materialmente le carte – replica Bianco – Nonostante l’informatica, i metodi tradizionali sono sempre più efficaci».

Il cuore della convocazione sta nell’intervento del giudice Giovanni Di Pietro, ormai diventato la nemesi del Comune di Catania, profondo conoscitore di tutti i passaggi contabili più controversi dell’ultimo periodo. È lui a mettere nero su bianco l’aumento del disavanzo dai 140 milioni di euro nel 2011 ai 580 milioni di euro certificati l’anno scorso. Così come l’estrema difficoltà di conoscere con certezza la situazione debitoria di Palazzo degli elefanti. Che si evolve di anno in anno, in una moltiplicazione costante che Di Pietro stigmatizza e definisce «patologica». Cosa che già aveva fatto in una delle sue relazioni. Così come aveva già sottolineato che il recupero dell’evasione tributaria, a Catania, si attesta stabilmente al di sotto dell’1 per cento. In altri termini: chi non paga, continua a non pagare e nessuno gli chiede indietro il denaro. «Abbiamo fatto una stima delle passività che gravano sul Comune – sottolinea il magistrato contabile – al momento dell’approvazione del piano ammontavano a 485 milioni di euro. Al 31 luglio 2017, in base ai nostri calcoli, si supera il miliardo di euro».

«In estrema sintesi», le passività sono superiori alle disponibilità del Comune. A queste osservazioni, Palazzo degli elefanti pare abbia risposto con una mole di documenti più volte definita «consistente». Un eufemismo per parlare della montagna di carte fatta pervenire in via Notarbartolo appena pochi giorni fa. Nel prospetto del Comune, l’importo che per la Corte dei conti è oltre il miliardo per l’amministrazione è invece di poco superiore a 850 milioni di euro. Come si ottenga questa riduzione, spiega Di Pietro, non è chiaro. Così come non sarebbe chiara la sparizione, e successiva ri-apparizione di debiti fuori bilancio milionari, oppure la procedura di registrazione del trasferimento da 42 milioni dall’Amt in liquidazione. «Credo che ci sia un errore nella relazione del collegio dei revisori dei conti. Mi scuso perché non l’ho vista», replica la ragioniera generale Clara Leonardi. «O qui c’è un errore del collegio dei revisori, o c’è un errore da parte vostra. Non è una domanda: è una osservazione che faccio con me stesso. Del resto, il collegio di revisione è un organo interno. Voi dovete rileggere…», interviene il presidente della Corte Maurizio Graffeo.

A parte questo punto, davanti ai giudici è il primo cittadino che, quasi sottovoce, difende la posizione della sua Catania. E cita «la più grande recessione economica dal secondo dopoguerra, che persiste ancora oggi». In altri termini, nelle difficoltà di Palazzo degli elefanti pesa anche la crisi economica mondiale, «che ha avuto refluenze enormi sull’economia della città – dice il sindaco – Lo ricordo: è la più grande città italiana non capoluogo di Regione. Che deve vivere senza una macchina amministrativa regionale». Niente a che vedere, dunque, con Palermo. «Perdonate il linguaggio forse non consono all’occasione – aggiunge Bianco – Ma la mia è una città che campa solo del suo». Per il resto, però, nelle osservazioni del sindaco c’è un sostanziale miglioramento delle condizioni della città. Se non proprio in termini di quantità dei debiti, almeno di trasparenza e correttezza. Sebbene, in un breve passaggio, Enzo Bianco faccia riferimento alle «questioni delicate e giudiziarie» della direzione Ragioneria (si legga: interdizione dai pubblici uffici dell’ex ragioniere generale Massimo Rosso).


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