Il M5s primo partito, alle radici del consenso Esperti: «Niente ras e competizione interna»

Lavoro sul territorio, presenza sul web, effetto trascinamento derivante dalla forza del brand, ma anche auto-imprenditorialità e competizione interna. Bisogna guardare a questi ingredienti se si vuole capire perché il Movimento 5 stelle è stata la lista più votata alle Regionali. Un primato confermato dopo il debutto del 2012 e accompagnato dal quasi raddoppiamento delle preferenze, passate da poco più di 285mila a oltre 513mila. Cifre che, tradotte in percentuali, hanno spinto il partito di Grillo fino al 26,67 per cento (nel 2012 fu 14,88), ma che nonostante tutto non hanno garantito la vittoria a Giancarlo Cancelleri. Con il candidato cinquestelle rimasto dietro a Nello Musumeci di 108mila preferenze.

Del mezzo milione abbondante di elettori che hanno dato il proprio sostegno alla lista pentastellata, sono stati quasi 300mila quelli ad avere associato al segno sul simbolo il nome di uno dei 70 candidati. Preferenze che, come per tutti i partiti, sono figlie anche di valutazioni personali, simpatie, parentele ma che nel complesso rilasciano una fotografia significativa della squadra presentata in Sicilia. Scorrendo infatti i dati registrati nei nove collegi provinciali, si scopre che tra i grillini non esistono i cosiddetti riempilista, ovvero quei candidati inseriti con il chiaro intento di colmare i posti richiesti dal collegio. Persone a cui viene data la possibilità di partecipare pur sapendo che non solo non avranno possibilità di essere eletti, ma che anche il loro contributo alla causa del partito sarà pressoché nullo.

Ma come leggere questo fenomeno? Secondo la docente di Sociologia politica dell’Università di Catania, Rossana Sampugnaro, i motivi devono essere cercati tanto nell’attività fatta all’interno delle istituzioni quanto nell’attivismo della base. «Ritengo che questi dati debbano essere interpretati tenendo conto di quanto fatto nel corso di cinque anni di presenza all’Ars e anche della strutturazione del M5s sul territorio, con la moltiplicazione dei Meetup, il loro lavoro di ricerca e la mobilitazione delle comunità. Ciò – spiega l’esperta – ha dato la possibilità di ottenere un riconoscimento anche a chi non era deputato, ma che ha saputo costruirsi una reputazione che si è tradotta in voti alle elezioni».

Cosa che nelle altre coalizioni non è successa in maniera così capillare. A Trapani, dove le liste dovevano essere composte da cinque nomi, saltano agli occhi i quattro voti di Giuseppina Corso in Diventerà bellissima, la lista del neopresidente. Dall’altra parte dell’Isola, a Catania, il cui collegio metteva in palio 13 seggi e richiedeva ai partiti liste altrettanto affollate, è il centrosinistra a essere stato costretto a puntare su candidati senz’altro deboli: Filippo Vitale (due voti), Salvatore Di Maria (tre voti), Mario Santagati (cinque voti) per Arcipelago Sicilia o Teresa Pizzo, candidata in extremis nel collegio etneo con Sicilia Futura, alla quale sono andate otto preferenze. C’è poi chi è riuscito a restringere il consenso a un voto solo – il proprio? – come nel caso della palermitana Maria Concetta Di Filippo. Gli esempi di candidati che non hanno toccato i dieci voti – e va ricordato che l’eletta con il numero più basso di preferenze ne ha avute comunque più di duemila (Eleonora Lo Curto, Udc) – potrebbero continuare coprendo anche i collegi di Agrigento, Ragusa e Siracusa

Tutto ciò non ha riguardato il Movimento 5 stelle. Tra i pentastellati in corsa per un posto all’Ars quello che ha avuto meno successo è stato Giuseppe Scarcella, che a Catania si è fermato a 844 voti. L’unico a non avere superato la soglia delle mille preferenze. «Sono un attivista di lungo corso – spiega il diretto interessato a MeridioNews -. Da anni sono impegnato a Catania e ho contribuito anche all’apertura del meet up di Tremestieri Etneo. Il successo diffuso dei nostri candidati? Ognuno di noi ha avuto la possibilità di farsi conoscere sul territorio, parlando con le persone». 

Fondamentale, secondo la docente Sampugnaro, sarebbe stata anche la comunicazione dei singoli candidati. «A differenza delle precedenti tornate – spiega – c’è stata la possibilità per i singoli di costruire campagne individuali low cost per raccogliere consenso specialmente sui social, a volte anche sfruttando eventi per spendersi e acquisire notorietà. Non dimentichiamo – sottolinea la docente – che quest’anno sono comparsi anche gli endorsment di singoli militanti (a volte anche famosi) per i candidati producendo un accreditamento anche di quelli poco conosciuti». Ragionare sulle preferenze non può esulare una riflessione generale sulla percezione che storicamente si è avuta nell’Isola delle elezioni. «In Sicilia più che da altre parti esiste una forma di interpretazione della politica che è fortemente legata alla personalizzazione – prosegue l’esperta -. A prescindere della dimensione clientelare, da noi i cittadini hanno una rappresentazione della politica fortemente legata ai rapporti personali intrattenuti con i politici, personalizzazione che precede anche quella mediatica. Se volessimo fare un esempio, si può ricordare come negli anni Settanta, quando il Pci aveva un numero limitato di voti di preferenza, in Sicilia i candidati del partito ottenevano mediamente più preferenze che nel resto di Italia. Mentre al Nord si votava soprattutto il partito, da noi si specificavano anche le preferenze».

Si potrebbe credere che il confronto tra un partito ormai consolidato come quello di Grillo e liste nate sotto le elezioni – si pensi alle vicissitudini di Arcipelago Sicilia, esclusa a Messina per un ritardo nella presentazione della lista e aseente a Siracusa – sia impari. Ma comparando i consensi ottenuti dai pentastellati con quelli dei candidati dei principali partiti si scopre che nel complesso la macchina del Movimento è stata comunque più solida. I voti del citato Scarcella, per esempio, sono stati più di quelli raccolti da quattro dei 13 candidati di Forza Italia a Catania. Spostandoci nel collegio di Palermo, troviamo ultima tra i grillini Erika Favuzza che, con 1320 voti, ha ottenuto più consenso della metà dei componenti della lista forzista (su sedici, in otto non hanno superato le 700 preferenze). Andando avanti si scopre che il partito di Berlusconi – il secondo più votato nell’Isola con il 16,37 per cento – a Siracusa, nonostante le liste fossero composte soltanto da cinque nomi, ha schierato Veronica Moncada, che non è andata oltre i 36 voti, mentre l’ultima del M5s, Teresa Lauria, ne ha preso quasi 1298. 

I punti deboli ci sono stati anche nel Partito democratico: nel collegio di Trapani – anche qui liste con cinque nomi – il Pd per completare la squadra ha puntato su Angela Saldino, rimasta ferma a 17 voti, mentre in casa cinquestelle il primo a rinunciare all’Ars è stato Giovanni Inglese, nonostante le 3313 preferenze. Discorso simile nel Messinese, con la grillina Angela Raffa (1581 voti) che è stata fanalino di coda della propria lista ma che ha preso molto di più di metà dei candidati democratici (quattro su otto non hanno superato i 350 voti). A Ragusa, infine, Martina Guarascio – finita sui giornali alla vigilia delle elezioni per la scelta di schierarsi con Forza Italia – ha ottenuto appena 68 voti, lontanissima dal pentastellato Carmelo Spata che ha sfiorato i 3400.

A fare riferimento alla competizione interna che farebbe bene ai singoli candidati e, di riflesso, anche alla lista è il politologo Giancarlo Minaldi. «La forza del Movimento 5 stelle continua a essere la capacità di comunicare discontinuità con i concorrenti consentendo così a una precisa fetta dell’elettorato di identificarsi in esso – spiega -. Guardando però ai risultati di queste elezioni si capisce anche di più: i meccanismi del partito, per esempio la selezione attraverso le primarie interne, favoriscono la competizione e spingono i candidati a cercare attivamente il proprio consenso. A differenza di quanto accade negli altri partiti – conclude Minaldi – le liste cinquestelle non vengono costruite attorno ai ras del voto e questo motiva maggiormente tutti i partecipanti».


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I cinquestelle sono stati gli unici a non avere avuto bisogno dei riempilista. Nella maggior parte dei collegi gli ultimi arrivati hanno raccolto più di molti dei nomi su cui hanno puntato gli altri partiti. Su 70, solo uno ha preso meno di mille voti. L'opinione della docente Rossana Sampugnaro e del politologo Giancarlo Minaldi

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