Musumeci-Armao, un ticket per addolcire la pillola «Concetto utile negli States, qui è solo pragmatica»

Un anglicismo per addolcire il sapore della rinuncia. Il lavoro profuso in questi giorni per tenere unito il centrodestra passa per una parola rilanciata dalle bocche di quanti tra Forza Italia, Noi con Salvini, Fratelli d’Italia, Diventerà bellissima ed ex Mpa sono coscienti di come, per tornare a governare la Sicilia, ci sia bisogno di compattezza. Che nello specifico significa mettere fine alla disputa tra Nello Musumeci e Gaetano Armao. I due da mesi hanno fatto capire di essere intenzionati a candidarsi alla carica di presidente della Regione e, per un certo periodo, non hanno escluso la possibilità di competere l’uno contro l’altro. Lo scenario, tuttavia, sembrerebbe scongiurato grazie all’ormai famoso – almeno per quanto riguarda la ricorrenza del termine nelle dichiarazioni dei politici – ticket.

La parola arriva dagli Stati Uniti e indica l’accoppiata tra presidente e vicepresidente proposta agli elettori prima del voto per le Presidenziali. Nel corso degli anni, il termine è stato adottato dal lessico politico nostrano – nelle elezioni del 2013, l’espressione è stata usata per delineare i rapporti tra Silvio Berlusconi e Angelino Alfano – ma riducendo il campo semantico alla fase della contrattazione delle alleanze. La differenza, tra il caso statunitense e quello italiano (e anche siciliano), sta nel sistema di governo, da una parte una repubblica presidenziale, dall’altra una repubblica parlamentare. 

Oltre oceano la designazione del vicepresidente è una scelta fondamentale che deve essere ufficializzata in quanto, al momento dell’entrata in carica, acquisirà poteri ben precisi. «Negli Stati Uniti il vicepresidente può per così dire sopravvivere al presidente e continuare la legislatura – spiega a MeridioNews Salvatore Curreri, docente di Diritto costituzionale dell’Università Kore di Enna -. Ciò avviene in caso di impedimento, decadenza o dimissioni del presidente in carica». Nella storia degli States, questa situazione si è verificata nove volte, tra le quali quella che vide diventare presidente Lyndon Johnson dopo l’omicidio di John Fitzgerald Kennedy. «Fosse capitato in Sicilia – prosegue Curreri – si sarebbe automaticamente andati a elezioni, perché nelle Regioni italiane vige il principio secondo cui la venuta meno di giunta o consiglio regionale determina la decadenza dell’altro organo».

Va detto che lo Statuto siciliano prevede all’articolo 9 la figura del vicepresidente. «Il presidente della Regione nomina e revoca gli assessori, tra cui un vicepresidente che lo sostituisce in caso di assenza o di impedimento», si legge nel testo. A riprova di come il vicepresidente sia individuato all’interno della giunta in un secondo momento rispetto alle elezioni. «È un ruolo politico e di rappresentanza – specifica il docente -. A eccezione della fase in cui, in seguito alla decadenza del presidente, ne fa le funzioni ma solo per l’ordinaria amministrazione e in attesa delle nuove elezioni che, per legge, dovranno tenersi entro tre mesi». Così è accaduto, per esempio, nel 2008 quando Totò Cuffaro si dimise dopo le polemiche seguite – la famosa foto con i cannoli – alla condanna in primo grado per favoreggiamento alla mafia. A traghettare la giunta alle elezioni, in quel caso, fu il vicepresidente Lino Leanza.

In un quadro del genere, ragionare sul ticket Musumeci-Armao porta inevitabilmente a spostare la riflessione dall’aspetto giuridico a quello meramente politico. «È chiaro che si tratta di una questione pragmatica – commenta a MeridioNews Giuseppe Astuto, professore di Storia delle istituzioni politiche dell’Università di Catania -. Tutti nel centrodestra hanno capito che per provare a vincere devono stare insieme. E Armao è cosciente di come il presidente, con i poteri che ne conseguono, sarebbe Musumeci». 

Il bisogno di serrare le file, in tal senso, potrebbe riguardare anche l’altra grande coalizione ancora alla ricerca di un nome: il centrosinistra. Proprio ieri Rosario Crocetta ha rilanciato la sfida sottolineando di avere il diritto a ricandidarsi, appellandosi allo statuto del Partito democratico, ma soprattutto stigmatizzando l’eventuale designazione del rettore di Palermo Fabrizio Micari. «Con lui si perde», ha detto seccamente in conferenza stampa Crocetta. Assicurando di essere disponibile a recedere dal proprio proposito soltanto a una condizione: fare le primarie. Un altro concetto di – relativa – recente importazione in Italia, ma per il quale non c’è stato bisogno di ricorrere all’inglese.


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