Nei racconti dell'imprenditore della città ionica che ha permesso l'arresto di quattro catanesi, ritenuti appartenenti alle cosche mafiose, emerge la prepotenza con cui gli arrestati si sarebbero mossi. Mettendo gli occhi sui mezzi in esposizione e pretendendo la loro cessione
Taormina, le estorsioni al titolare dell’autosalone «Mi devi dare il fuoristrada o vengo a casa tua»
Due estorsioni ai danni di imprenditori del comprensorio di Taormina. La longa manus di Cosa nostra che prova a stendere i propri tentacoli sulle attività della nota città ionica. E la scelta delle vittime di collaborare con la giustizia quando capiscono che denunciare è il mezzo migliore per tirarsi fuori dall’incubo. C’è questo e tanto altro nelle pagine dell’ordinanza siglata dal gip Eugenio Fiorentino, che ha spedito in carcere i catanesi Antonio Faranda Francesco ed Emanuele Salvatore Blanco, ritenuti dagli investigatori appartenente al clan Brunetto, insieme a Enzo Ferriero, originario di Paternò e ritenuto elemento emergente negli ambienti della criminalità organizzata etnea, e Carmelo Porto, considerato al vertice del clan Cintorino.
Quando i carabinieri scoprono che c’è in corso un’estorsione ai danni del titolare di un autosalone, si recano dalla vittima che conferma i loro sospetti e informa i militari che la stessa cosa era già accaduta a un altro imprenditore. L’uomo ricostruisce l’accaduto. Racconta che a metà gennaio, nella sua rivendita di Taormina, arrivano Faranda e Blanco in compagnia di un terzo uomo. Inizialmente le attenzioni di Faranda si concentrano su una minicar, per poi spostarsi su un fuoristrada Nissan Terrano. A fronte di un prezzo di 6.200 euro, il negoziante gli propone di cederla per 5.500. Faranda replica dicendo di voler «corrispondere in contanti la somma di euro 2.500 e la rimanenza con degli assegni post-datati a suo dire intestati alla moglie».
L’imprenditore però non accetta – nonostante Faranda gli sottolinei che «sono dieci anni che manco e qui vi siete fatti i cazzi vostri» – e accompagna i tre alla porta. Nel chiuderla, però, urta il braccio di uno che gli sferra un violento schiaffo. Il proprietario decide di non reagire per paura che gli altri due lo aggrediscano mentre Faranda gli dice: «Io macchine non te ne faccio vendere più. Ti faccio chiudere la saracinesca». Non contento, torna qualche giorno dopo e ribadisce: «Che dobbiamo fare? Mi devi dare la macchina! Non l’hai capito che mi devi dare il fuoristrada?». La vittima per paura di ritorsioni non sporge querela, ritenendo i tre «soggetti pericolosi per i loro trascorsi giudiziari notori in zona».
La paura spinge l’uomo a non andare più nell’autosalone per timore di ritrovarsi faccia a faccia con i suoi estorsori, che però continuano a contattarlo anche per telefono usando un altro proprietario di un autosalone anche lui vittima di estorsione. Faranda gli chiede il perché delle continue assenze. «Che è successo? Te ne sei andato in ferie? Io sono passato e non ti ho trovato. Ho visto che c’è un T-Max». Anche in questo caso la vittima si oppone alla cessione sostenendo che il mezzo non fosse di sua proprietà. Una risposta che fa arrabbiare Faranda: «Vedi che vengo, mi devi dare il Terrario e questo scooter pure, se no ti prendo a palmate». Di fonte a un nuovo rifiuto l’uomo va in escandescenza: «Stasera vengo a trovarti sino a casa», interrompendo poi la conversazione.
La vittima racconta, inoltre, di aver provato a cercare l’aiuto di un’altra persona prima di rivolgersi a loro, ma di essersi ben presto reso conto che era caduto dalla padella nella brace. L’intermediario a cui si era rivolto, infatti, sarebbe stato Carmelo Porto, con l’imprenditore che capisce presto che ha legami con Faranda, Blanco e Ferriero.