Droga dal Sudamerica alla Sicilia, senza ‘ndrangheta Cocaina per sbaglio a Salerno, nascosta nel carbone

Un’associazione criminale capace di far arrivare 110 chili di cocaina dal Sudamerica, e di progettare altre spedizioni, senza la mediazione della ‘ndrangheta. Né di altre associazioni mafiose. I contatti diretti con il cartello di Medellin, in Colombia, li avrebbero tenuti due insospettabili: il napoletano Vincenzo Civale, 40 anni, senza legami con la Camorra, e un uomo di origine spagnole. Sono loro a vantare canali preferenziali con i narcos, a trascorrere diverso tempo oltreoceano per definire i dettagli dell’operazione, e a rivendere a molti acquirenti, in Italia e non solo. Tra questi pure due palermitani – Antonino Lupo Antonio Catalano – legati al clan di Brancaccio e alla storica famiglia mafiosa dei Graviano. Lupo è infatti fratello di Cesare, ritenuto capomafia di Brancaccio.

È proprio a Palermo che sarebbe stato destinato il mega carico di cocaina purissima, che sul mercato avrebbe fruttato circa 14 milioni di euro. I container invece arrivano il 10 marzo a Salerno, a bordo della motonave Brussels. «Un errore dei colombiani, come emerge dalle intercettazioni», spiega Andrea Bonomo, pubblico ministero della Procura di Catania, che guida le indagini insieme alla collega Alessia Minicò, eseguite dal comando provinciale della Guardia di finanza etnea. Perché la titolarità è della Direzione distrettuale antimafia di Catania, considerata la diversa provenienza dei soggetti coinvolti? «Abbiamo avuto più fiuto – spiega il procuratore capo Carmelo Zuccaro – le indagini vanno avanti dallo scorso giugno e hanno origine da un altro procedimento tuttora in corso». Un’indagine parallela al momento sotto segreto. 

«Si tratta – spiegano dalla Procura in riferimento a quanto finora emerso – di un traffico internazionale, di un gruppo capace di operare in diverse parti d’Italia, il fatto che la droga sia arrivata a Salerno è solo un caso». O meglio un errore, come detto. E come dimostra la fretta di Civale e il soggetto spagnolo, intercettati al telefono. «Digli al signore – afferma lo spagnolo riferendosi al palermitano Antonino Lupo – che la mia gente sta mandando cento per sbaglio, che invece di mandarli a Palermo lo stanno facendo a Salerno. Digli al signore se può andare a Roma così io vengo domani e ci riuniamo… digli che la mia gente ne ha messi 100 e continueranno a darne se la prendiamo noi». Prontamente Civale chiama Lupo: «Volevo sapere se abbiamo amici a Salerno, precisamente nel porto – dice -. Questi pazzi hanno mandato un container che doveva arrivare a Palermo. E invece hanno sbagliato nave e l’hanno caricato su una che arriva a Salerno mercoledì della prossima settimana. Ci sono dentro 100 che erano per noi. Sono 100 già lavorati. Cioè interi senza bisogno di fare cose come dovevamo fare. Abbiamo la possibilità di farli uscire da Salerno con l’aiuto di amici del posto?».

Prima del maxi carico arrivato in un container in mezzo alle banane – «tra i più importanti sequestrati in Italia», ricorda il procuratore capo -, c’era stata un’altra spedizione. Una sorta di test campione: nove chili spediti all’aeroporto di Roma Ciampino con una modalità molto particolare: nascosti nel carbone vegetale. Anzi, più che nascosti, letteralmente invisibili. «Per occultare la droga in questo modo – spiega il comandante delle Fiamme gialle di Catania, Roberto Manna – servono sofisticati procedimenti chimici sia in partenza che in arrivo. A destinazione infatti è necessario riportare in vita la cocaina allo stato purissimo e quindi avrebbe richiesto l’opera di professionalità specifiche». Complicità su cui la Finanza continua a indagare. La spedizione sancisce il patto di fiducia tra Civale e Lupo. «Adesso fratelli di sangue siamo», dice il primo al secondo dopo il buon esito dell’operazione. 

L’arrivo dei nove chili di cocaina, nascosti in 46 di carbone, a fine 2016, è stato monitorato dalla Procura e non impedito per permettere il prosieguo delle indagini. Il carico aveva come mittente un’impresa di Santa Marta (in Colombia) e come destinatario una ditta di Catania, in realtà inesistente. In generale i soggetti coinvolti, alcuni ancora in fase di identificazione, risiedono tra Sicilia, Campania, Lazio, Sardegna, Spagna, Colombia ed Ecuador. Nonostante il consolidato asse tra le famiglie mafiose dei Graviano di Palermo e dei Santapaola di Catania – «tuttora vigente», sottolinea Zuccaro -, nel caso delle spedizioni intercettate non risulterebbe il coinvolgimento dei clan di Cosa Nostra etnea. I palermitani Lupo, Catalano e il napoletano Civale sono stati raggiunti da provvedimenti di fermo emessi dalla Dda di Catania e confermati dai Gip di Palermo e Frosinone. Il soggetto spagnolo non è risultato rintracciabile in Italia. 


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