Trapani, gli affari usurai della famiglia Alberti Vittime costrette a saldare prestiti con gioielli

Prestiti con tassi usurai che andavano anche oltre l’80 per cento annuo. A finire nella rete dei gioiellieri-strozzini erano commercianti in difficoltà, bisognosi di denaro. Un giro d’affari milionario, quello messo su da Vito, Francesco e Michele Alberti, parecchio noti a Trapanidestinatari nei giorni scorsi di un decreto di sequestro, pari a quattro milioni e mezzo di euro, disposto dalla sezione delle misure di prevenzione del tribunale. 

I tre erano stati arrestati, insieme ad altri, nel 2010, nell’ambito dell’operazione Golden Award, che aveva portato alla luce un grosso giro di usura, ricettazione e riciclaggio. A finanziare il sodalizio criminale, secondo la ricostruzione dei magistrati, sarebbero stati Francesco e Vito Alberti. Michele, avrebbe avuto invece il ruolo di esattore. Un’attività scoperta solo sette anni fa ma che i noti gioiellieri portavano avanti da tempo. Le prime denunce risalgono infatti al 1994. 

Il modus operandi era sempre lo stesso: il prestito veniva concesso e, se la vittima non era in grado di restituire il denaro, era costretto a pagare con gioielli nuovi che venivano valutati come usati e successivamente rimessi in commercio. È il caso di un gioielliere trapanese a cui gli Alberti, tra dicembre 2007 e marzo del 2008, avrebbero prestato 33mila euro, incassandone di fatto 55 mila, valore reale dei preziosi consegnati dal commerciante in seguito alle difficoltà a saldare il debito. I proventi dell’usura venivano poi reinvestiti nell’acquisto di merce rubata, che veniva rivenduta con la complicità di altri gioiellieri, tutti giudicati in diversi procedimenti. 

Fornitore di fiducia era un noto pregiudicato trapanese, finito in manette nel febbraio dello scorso anno perché a capo di una banda che si occupava di furti di appartamento, riciclaggio e ricettazione. Nel curriculum degli strozzini, anche diverse presunte truffe a carico di imprenditori, grossisti di manufatti di gioielleria e metalli preziosi. Gli Alberti – secondo gli investigatori – d’accordo con gli altri commercianti coinvolti, attraverso una società fittizia avrebbero acquistato ingenti quantitativi di oro e preziosi dalle ditte truffate, pagando con diversi assegni post datati e simulando in seguito il furto della merce al fine di incassare ugualmente i proventi senza saldare i creditori. Così facendo, nelle casse sodalizio criminale sarebbero finiti circa 100 mila euro

I controlli economico-patrimoniali svolti dai finanzieri sul conto della famiglia Alberti hanno evidenziato, inoltre, una evidente sproporzione tra i patrimoni accumulati negli ultimi dieci anni e i relativi redditi dichiarati, assolutamente non in grado di giustificare l’enorme arricchimento. Vito, Francesco e Michele Alberti, nel 2012, avevano deciso di patteggiare, venendo condannati rispettivamente a due anni, un anno e dieci mesi e un anno e sei mesi, beneficiando poi della sospensione della pena. 


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