Al momento un detenuto al carcere duro non può accedere a riviste o contenuti simili. Ma un magistrato ha sollevato il problema davanti alla corte Costituzionale che si pronuncerà nelle prossime ore. Secondo l'associazione Antigone «non è la compressione dei diritti la strada da seguire»
Vietato ricevere un libro o un giornale al 41bis Antigone: «Senza senso». Domani la Consulta
Può un detenuto al carcere duro ricevere libri o riviste? Al momento la risposta è no, ma su questo quesito domani si pronuncerà la Corte Costituzionale. Il divieto è previsto dal comma 2 dello stesso articolo 41 bis, secondo il quale la polizia penitenziaria può limitare l’ingresso di beni oggetti che il detenuto riceve dai familiari.
Una limitazione che secondo l’associazione Antigone lede il diritto alla formazione della propria coscienza, allo studio e alla libertà di opinione e di pensiero. «Qualsiasi forma di pena – spiega la coordinatrice nazionale di Antigone Susanna Marietti – dovrebbe limitarsi ad avere un carattere di tipo custodiale. Negare l’accesso a libri o contenuti simili non ha senso, è opportuno semmai aumentare i controlli per evitare che tali strumenti possano essere utilizzati per comunicare. Bisogna però considerare che il regime è nato per impedire agli appartenenti ad associazioni mafiose di dialogare con l’esterno dettando magari ordini e istruzioni. In questo caso un oggetto che entra non può costituire una minaccia». La questione è finita davanti alla Corte attraverso un magistrato di sorveglianza di Spoleto, Fabio Gianfilippi, che ha raccolto l’appello di un detenuto in regime di 41 bis a Terni.
Per Antigone lo stesso regime di carcere duro andrebbe rivisto. «Dal 1992 – spiega Marietti – il 41 bis è stato spesso usato per finalità vessatorie, per indurre i detenuti a rivelare informazioni alla giustizia. La pena si è abbattuta come una mannaia su tutto ciò che somigliava alla criminalità organizzata. All’indomani delle stragi di Capaci e via D’Amelio, partirono tanti elicotteri diretti nelle isole di Pianosa e Asinara che ospitarono soggetti i cui reati erano assimilabili a quelli mafiosi. Spesso si trattava di una forzatura e la custodia in carcere sfociava in brutali aggressioni».
E Marietti cita un caso su tutti. «È emblematica – spiega – la storia di Carmelo Musumeci che ha passato cinque anni all’Asinara pur non c’entrando nulla con la mafia siciliana poiché era a capo di un’associazione criminale che operava in Versilia. Non è la compressione dei diritti la strada da seguire, uno Stato forte è in grado di gestire qualsiasi tipo di detenuto». Sui risultati del 41bis si è espressa pochi mesi fa anche la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato che ha sollevato l’attenzione sui punti più critici in un rapporto di 70 pagine.