D’Alema, tra fascisti di sinistra e militanti delusi «Il Sud sostiene il no perché si sente trascurato»

«Io sono un fascista di sinistra e lui invece è comunista, tutti e due siamo qui perché voteremo No». Sulla porta del centro congressi del Santuario della Madonna delle Lacrime di Siracusa, due signori attempati ed eleganti aspettano l’arrivo di Massimo D’Alema. «La figura più intelligente della politica italiana», sentenzia il fascista, a braccetto con l’amico compagno, almeno fino a domenica. Due No con motivazioni diverse: il primo «perché Renzi mi sta proprio sulle palle», il secondo «perché questa riforma nel merito è proprio sbagliata». E la dichiarazione di Romano Prodi che ha annunciato che voterà Sì? «Giusto – ribatte prontamente il camerata – io mi vergognerei a stare sulla stessa scialuppa di Prodi che è quello che ci ha rovinato». Una ferita decisamente più profonda per il professore di sinistra: «Stimo Prodi e non capisco la sua scelta, ma per il voto di domenica non mi cambia niente». 

Eccolo il referendum che spacca il Paese e unisce i poli opposti. Fianco a fianco ad ascoltare D’Alema, accolto dalla battuta di una militante «ora sei rimasto l’unico lider maximo», alludendo alla scomparsa di Fidel Castro. L’ex presidente del Consiglio tra ieri e oggi macina chilometri sulle strade siciliane, accompagnato dalla scorta: Catania, Siracusa, Francofonte, Vittoria, Licata e Agrigento. L’isola è contesa e battuta da tutti i big della politica siciliana: Matteo Renzi sarà domani mattina a Palermo, mentre i ministri Angelino Alfano e Maria Elena Boschi, insieme al sottosegretario Davide Faraone, saranno oggi prima a Messina e poi nella città dei Templi. 

Che l’esito del referendum si possa decidere nelle regioni del Sud è chiaro anche dall’appello di D’Alema. «Il Mezzogiorno – analizza – è orientato per il No, anche per ragioni che vanno al di là del testo della riforma costituzionale. È orientato per il no perché si è sentito molto trascurato da questo governo, diciamo le cose come stanno. Però il Mezzogiorno ha l’abitudine di votare poco, uno che è orientato per il No, ma non va a votare, non serve a nulla». L’invito è quindi ad «adottare in queste ore uno del Sì. Ma non un’adozione a distanza – continua – un’adozione ravvicinata, affettuosa, perché sono convinto che abbiamo buone ragioni per convincere. La cosa più semplice è fargli leggere la riforma: vedi un po’, leggi l’articolo 70, ora chiudi il testo e riassumi con parole tue. E lui dirà: no, ma questo non si capisce. Ed è fatta. Attenzione alle Costituzioni che non si capiscono, contengono l’inganno. Un tempo i potenti le leggi le scrivevano in Latino in modo che i poveri non le capissero».

Il salone del Santuario della Madonna delle Lacrime – «l’unico posto disponibile e abbastanza grande», spiega il deputato siracusano Pippo Zappulla, schierato per il No – è pieno, le persone rimangono in piedi. C’è tutta la minoranza Pd, che nella città di Archimede è anche contro il sindaco Giancarlo Garozzo. Ci sono molti sindacalisti e iscritti alla Cgil, ma c’è anche l’onorevole Pippo Gianni, ex cuffariano ora nella maggioranza di Crocetta. 

D’Alema entra nel merito della riforma: «Che razza di Senato federale è questo se non ha potere sulla spartizione delle risorse alla Regioni? Ad esempio sul fondo nazionale riservato alla sanità, che è la vita del sistema delle autonomie? Perché su questo Roma si riserva tutti i poteri. E visto che si tratta di un’assemblea permanente a tutti gli effetti, come dovrebbero fare consiglieri regionali e sindaci ad amministrare le loro città o le loro regioni stando cinque giorni alla settimana a Roma?». 

Ma l’affondo più duro è sul metodo, basato sulla «mobilitazione dell’apparato di potere». «Una riforma decisa dal governo e sponsorizzara dal governo – attacca – mobilitando tutti i ministri, facendo pressione sui presidenti delle Regioni, come dimostrano le parole vergognose di De Luca in Campania». Modalità contro cui D’Alema sfodera quanto scritto nel manifesto del Partito democratico. «Avevamo scritto – legge testualmente -: la Costituzione non può essere ala mercé della maggioranza di governo. Avevamo scritto: il Partito Democratico si impegna solennamente a mettere fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte dai governi a colpi di maggioranza. Questa è la nostra Costituzione che io mi sento di difendenre anche da un gruppo dirigente che l’ha dimenticata e stracciata».

Principi che D’Alema ricorda essere stati alla base della Costituente che scrisse la carta costituzionale. «Piero Calamandrei diceva: “quando si discute di Costituzione i banchi del governo devono essere vuoti”. Provate a immaginare Alcide De Gasperi che gira l’Italia con l’aereo del governo, che costa quanto cinque anni di risparmi promessi dalla riforma, per andare a fare i comizi per far vincere la sua Costituzione».


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