Siracusa, un giorno da ciechi tra barriere e inciviltà  «Lavoro di fronte casa, ma non posso andare solo»

«Abito proprio di fronte all’ufficio dell’Agenzia delle entrate, dove lavoro. In pratica devo soltanto attraversare la strada ma, ogni mattina, mi faccio accompagnare da mia moglie o da mio figlio perché, da quando ho capito la pericolosità, ho paura». È Carmelo Fangano, vice presidente dell’associazione nazionale non vedenti e ipovedenti arestusea, a raccontare come «non sia consigliabile muoversi da soli a Siracusa se si ha una disabilità visiva, anche se ne va della propria libertà. Questo – lamenta – dipende sia dalla maleducazione e dall’inciviltà dei singoli cittadini che dal mancato interesse della pubblica amministrazione che dovrebbe fare di più». Dalla viabilità alle insegne, dai servizi di trasporto ai semafori sonori che ci sono ma, nella maggior parte dei casi, non funzionano.

«Se la gente continua ad avere il pregiudizio secondo cui il cieco deve essere messo in un angolo ad aspettare sempre qualcuno che venga in suo soccorso, allora non si arriva da nessuna parte – spiega l’assistente sociale Rosalba Cicero che da oltre trent’anni lavora per l’Uici locale -. Per questo io dico che a Siracusa il problema principale è la mancanza di una cultura che porta al rispetto delle differenze. Questa è una città incapace di accogliere tutti cittadini con i loro bisogni diversificati, ma in cui ci si preoccupa solo di organizzare eventi su cui modellare la cultura».

Eppure nel Siracusano ci sono oltre 350 non vedenti e circa 1.500 ipovedenti. E se in città, negli anni, qualche passo avanti è stato fatto, «in provincia è tutto ancora più rudimentale – spiega Cicero -. Nel triangolo Lentini, Carlentini e Francofonte molti ciechi e ipovedenti vivono ancora sommersi e, fra inadeguatezza e vergogna, fanno di tutto per celare la loro condizione. Qualche segnale di maggiore apertura e solidarietà sociale si può cogliere nei piccoli paesi dell’area montana come Palazzolo, Ferla, Cassaro e Buscemi dove la gente considera e condivide il problema, anche se mancano i mezzi per affrontare le situazioni quotidiane».

Sempre più le persone con disabilità visive, anche attraverso percorsi specialistici fatti nei centri di eccellenza riabilitativa, diventano completamente autonome, hanno un lavoro, una famiglia, una vita emancipata e indipendente fatta di relazioni e contatti. «Io, per esempio, ho un ottimo senso dell’orientamento – racconta Fangano – e quando mi muovo, anche insieme a qualcuno, non sono mai passivo. Traccio il percorso con il mio smartphone che ha un sintetizzatore vocale per utilizzarlo in autonomia. A chi mi accompagna chiedo spesso di conoscere cosa c’è intorno, per farmi anche una mappa mentale».

La richiesta dell’associazione nei confronti dell’amministrazione è «innanzitutto fare delle campagne di sensibilizzazione per civilizzare la popolazione e dare suggerimenti di comportamento da mantenere in città nel rispetto anche delle persone cieche e ipovedenti. E poi l’impegno a sedersi insieme a noi attorno a un tavolo – aggiungono – per decidere linee di azione mirate e concrete che permettano alle persone di acquistare una sempre maggiore autonomia e di essere libere di gestire tempi e spazi mentre adesso invece, ancora troppo spesso, sono prigioniere. Che si mettessero tutti delle bende – concludono – per capire cosa significa non vedere affatto o vedere poco».


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Carmelo Fangano, vice presidente dell'associazione nazionale non vedenti e ipovedenti aretusea, ha imparato a muoversi in autonomia, «ma è troppo pericoloso». Colpa dei semafori sonori spesso rotti e dello scarso interesse di cittadini e istituzioni. «E in provincia è anche peggio», spiega Rosalba Cicero, assistente sociale

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